
Estorsioni e minacce: inchiesta su mafia e mala romana, 9 misure cautelari

Dietro una facciata di rivalità e clan contrapposti, si celava un patto di ferro tra mafia catanese e mala romana, volto a esercitare pressioni estorsive su un imprenditore edile di Pomezia, Emanuele Rossi. La ricostruzione, frutto di una complessa indagine della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha portato all’esecuzione di nove misure cautelari, di cui sei in carcere (tre già detenuti), due ai domiciliari e una con obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. L’obiettivo dell’organizzazione era costringere Rossi a cedere tre appartamenti a prezzi irrisori e a sponsorizzare due società sportive locali, per un totale di oltre 400mila euro.
Secondo gli inquirenti, il meccanismo era ben rodato: un primo gruppo minacciava l’imprenditore e la sua famiglia, mentre un secondo si fingeva rivale e “protettore”, offrendo sicurezza a caro prezzo. “Un disegno criminoso, portato avanti con violenza e minaccia, per ottenere immobili a valori dimezzati rispetto al mercato”, si legge negli atti. A fare da mediatore tra i due fronti, l’imprenditore Valter Valle, 60 anni, attivo nel settore della vigilanza privata e patron delle squadre Unipomezia Calcio a 5 e Unifortitudo Basket, beneficiarie delle sponsorizzazioni estorte a Rossi.
Tra gli arrestati spiccano nomi legati al mondo della criminalità organizzata: Francesco Mario Dimino, Gaetano Mirabella e Luigi Montegrande per l’area siciliana; Antonio Nicoletti – figlio di Enrico Nicoletti, storico cassiere della banda della Magliana – già condannato in un altro filone dell’inchiesta “Assedio”, insieme a Roberto Fiorini e Pasquale Lombardi. Ai domiciliari sono finiti Valter Valle e Bruno Rea, 86 anni. Obbligo di firma invece per il casertano Nicola Diana. L’indagine è partita da uno stralcio dell’operazione “Assedio”, avviata nel 2018, e ruota attorno a un contenzioso immobiliare tra Rossi, Rea e un terzo soggetto, Pascucci, oggi deceduto.
Nel 2019, un’escalation di minacce e atti intimidatori ha fatto degenerare la situazione: colpi di arma da fuoco contro un cantiere di Rossi, pressioni continue per estorcere denaro e proprietà, e offerte di protezione da parte degli stessi criminali. Determinanti, per l’accusa, le denunce presentate da Rossi e le dichiarazioni di un imprenditore “strozzato” dalla malavita locale, che ha fornito elementi cruciali sulle violenze subite. “Mi avevano avvisato della pericolosità di Lombardi, ma nessuno mi ha protetto”, avrebbe riferito Rossi agli inquirenti. Un sistema spietato, che mirava a drenare risorse economiche e controllare il tessuto produttivo locale, sfruttando lo sport come paravento e strumento di riciclaggio.