
L’ombra del racket dietro all’omicidio delle due escort rumene

Le indagini sulla morte di Denisa Maria Adas si tingono sempre più di giallo e di sangue. Gli inquirenti sono convinti che Vasile Frumuzache, il vigilante romeno reo confesso dell’uccisione di Denisa e di un’altra escort, Ana Maria Andrei, non abbia agito da solo. Le sue confessioni presentano numerose lacune, e le prove raccolte nei sopralluoghi tra Montecatini e Monsummano Terme sembrano confermare un coinvolgimento più ampio. La nuova pista investigativa porta a una rete criminale, forse una banda che controlla la prostituzione di alto bordo, e che punisce le escort che cercano di emanciparsi.
A rendere ancora più fitto il mistero sono stati i ritrovamenti effettuati dai cani molecolari: una vertebra umana, slip colorati e una ciocca di capelli tagliata di netto, scoperti nei pressi del casolare dove sono stati rinvenuti i corpi. Elementi ora al vaglio degli inquirenti, che si aggiungono ai quattro coltelli bruciati e a quattro telefoni cellulari trovati tra i rovi vicini alla casa in cui Frumuzache vive con la famiglia. Secondo gli investigatori, è improbabile che l’uomo abbia potuto agire da solo, soprattutto considerando le contraddizioni nelle sue versioni. “È impossibile che la decapitazione sia avvenuta nella stanza del residence a Prato, come afferma Frumuzache: lì non c’erano tracce di sangue”, spiega una fonte investigativa. L’ipotesi è che la mutilazione sia avvenuta a Montecatini, dove poi il corpo è stato nascosto.
A rafforzare il sospetto che Frumuzache sia solo un esecutore, emerge l’ipotesi che faccia parte di una struttura criminale organizzata: una sorta di mala delle escort. Un sistema che sfrutta, controlla e – se necessario – elimina. La teoria trova fondamento anche nel racconto di un’amica di Denisa, che aveva accennato alla figura di un avvocato calabrese, ora indagato per concorso in sequestro di persona, che avrebbe promesso alla madre della ragazza di liberarla da una banda di connazionali romeni. La sera del 15 maggio, giorno dell’omicidio, due uomini avrebbero seguito Denisa fino alla porta del residence. E ancora, la drammatica telefonata alla madre, poco prima di morire: “Se mi trova, mi ammazza”. Parole che suonano oggi come un presagio terribile, e che rendono sempre più credibile l’ipotesi di una macchina criminale ben oliata, in cui Frumuzache sarebbe stato solo il braccio armato di un sistema più oscuro.