
Spread ai minimi dal 2008, più margini per taglio delle tasse e investimenti
La discesa dello spread apre una fase nuova per i conti pubblici italiani e per le scelte di politica economica del governo. Il differenziale tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi ha toccato livelli che non si vedevano da settembre 2008, scendendo fino a quota 67 punti base prima di risalire leggermente intorno a 69. Un dato che riporta indietro di diciassette anni, ai giorni immediatamente precedenti al fallimento di Lehman Brothers, evento simbolo della grande crisi finanziaria globale.
Oggi, però, il contesto è profondamente diverso. La riduzione dello spread viene letta come un segnale di maggiore fiducia dei mercati nella stabilità del Paese e nella gestione dei conti pubblici. Con un rendimento del decennale italiano al 3,54% e quello tedesco al 2,85%, il costo del debito per l’Italia si riduce sensibilmente, liberando risorse che non dovranno più essere destinate al pagamento degli interessi.
A spiegare il potenziale impatto di questo scenario è stato il viceministro dell’Economia Maurizio Leo, intervenuto ad Atreju, la kermesse annuale di Fratelli d’Italia. «Potranno essere messe a servizio degli investimenti, messe a servizio della riduzione delle tasse», ha sottolineato, ricordando come una discesa stabile dello spread intorno ai 70 punti consenta un risparmio stimato di 17,1 miliardi di euro fino al 2029. Una cifra che equivale, di fatto, a una manovra finanziaria.
Il confronto con il recente passato rende ancora più evidente la portata del risultato. Nel settembre 2022, mese delle elezioni politiche che hanno portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, il differenziale viaggiava a quota 251 punti base. Oggi si mantiene stabilmente sotto i 70, sostenuto da una crescita economica considerata solida, da una maggiore attenzione al contenimento del debito e dal rispetto delle regole di bilancio europee. L’obiettivo dichiarato è l’uscita dell’Italia dalla procedura europea per disavanzo eccessivo, mantenendo il deficit al 3% e sotto quella soglia negli anni successivi.
Questi elementi sono stati accolti positivamente anche dalle agenzie di rating. Dallo scorso aprile si è avviata una serie di promozioni: Standard & Poor’s ha alzato il rating a BBB+ con outlook stabile, Fitch ha seguito a settembre con un giudizio analogo e a novembre Moody’s ha promosso l’Italia a Baa2, miglioramento che non avveniva da oltre vent’anni. «Spero che nel 2026 l’Italia esca dalla procedura di infrazione del 3%», ha aggiunto Leo, sottolineando come il calo della disoccupazione al 6% e l’aumento dell’occupazione rappresentino ulteriori segnali di solidità.
Il governo intende sfruttare questi margini per completare la riforma fiscale, con particolare attenzione al ceto medio. Nella manovra è già previsto il taglio dell’Irpef dal 35% al 33% per i redditi tra 28mila e 50mila euro, dopo la riduzione delle aliquote da quattro a tre. Il traguardo futuro è l’estensione dello sconto fino a 60mila euro di reddito. «Noi le tasse le vogliamo tagliare. E vogliamo far sì che ci sia un nuovo rapporto tra fisco e contribuente», ha ribadito Leo, precisando che non si tratta ancora di un impegno formale ma di un obiettivo reso possibile dalle attuali condizioni macroeconomiche.
Anche le imprese guardano con interesse a questo nuovo scenario. Dal palco di Atreju il vicepresidente di Confindustria Angelo Camilli ha chiesto maggiore stabilità per le misure a sostegno degli investimenti. «L’iperammortamento rappresenta un primo passo positivo, ma la durata limitata al 2026 e la necessità di provvedimenti attuativi ne riducono l’efficacia», ha spiegato, auspicando un’estensione triennale e una copertura finanziaria stabile. Leo ha risposto indicando un orizzonte di tre anni per l’iperammortamento, con tecnici già al lavoro su una riformulazione della norma e un emendamento atteso a breve.
In un contesto segnato da tensioni geopolitiche e incertezze globali, la traiettoria dello spread diventa così uno degli indicatori chiave per misurare la credibilità finanziaria del Paese e per orientare le scelte future di politica economica.