
Debito pubblico, crolla il costo per l’Italia: rendimenti al 2,8% e spread ai minimi
L’Italia spende sempre meno per finanziarsi sui mercati. Nel 2025 il costo medio delle nuove emissioni di debito pubblico ha proseguito la sua discesa, attestandosi attorno al 2,8%, dopo il picco del 3,8% raggiunto nel 2023 nel pieno della stretta monetaria decisa dalle banche centrali per contrastare l’inflazione. Un calo significativo, certificato dall’Ufficio parlamentare di bilancio, che fotografa una fase di maggiore stabilità finanziaria e una rinnovata fiducia degli investitori verso il debito italiano.
Secondo l’analisi dell’Upb, la riduzione dei rendimenti si accompagna alla capacità del Tesoro di compensare il progressivo disimpegno della Banca centrale europea e di Bankitalia, iniziato nel 2023, attirando capitali privati. Un ruolo decisivo lo hanno avuto i titoli rivolti al risparmio retail, come i Btp Valore e i Btp Più, che hanno raccolto complessivamente oltre 90 miliardi di euro, ma anche la domanda costante registrata nelle aste riservate a banche e fondi istituzionali. Un mix che ha permesso di mantenere fluido il collocamento dei titoli di Stato nonostante il cambiamento di scenario monetario.
Un altro indicatore chiave è lo spread, considerato il termometro della solidità finanziaria di un Paese. Il differenziale di rendimento tra Btp italiani e Bund tedeschi si mantiene ormai stabilmente sotto quota 70 punti base. Ieri ha chiuso a 66 punti, livelli che non si vedevano dai mesi precedenti allo scoppio della crisi finanziaria del 2008. Un dato che ha effetti concreti sui conti pubblici. Come ha ricordato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, «la spesa per interessi è la più odiosa in assoluto, perché improduttiva», in quanto sottrae risorse a sanità, scuola e infrastrutture. Ridurre questo costo significa creare margini per investimenti produttivi o per alleggerire il carico fiscale.
Secondo le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, già il semplice ritorno dello spread attorno a quota 70 consente un risparmio di poco superiore ai 17 miliardi di euro in cinque anni. Una cifra paragonabile al peso di un’intera legge di bilancio, che offre al governo maggiore flessibilità nella programmazione economica. Il calo dei rendimenti riguarda soprattutto i titoli a breve termine: i Bot a sei e dodici mesi sono passati dal 3,97% di ottobre 2023 a circa il 2,05% di fine novembre, mentre il rendimento medio dei Btp al momento dell’emissione è sceso sotto il 3%, lontano dal 4,48% toccato nell’autunno di due anni fa.
Forte di questo scenario favorevole, il Tesoro ha scelto di giocare d’anticipo sulla gestione delle scadenze future. Nel corso del 2025 sono state effettuate sei operazioni di riacquisto per un controvalore di 32 miliardi di euro, riguardanti titoli destinati al rimborso nel 2026. L’obiettivo è ridurre il volume di scadenze concentrate in un solo anno e contenere il rischio di rifinanziamento. Prima degli ultimi interventi, i titoli in scadenza nel 2026 sfioravano i 273 miliardi di euro; una cifra che poi scende negli anni successivi, per tornare a salire nel 2030, quando sono previsti rimborsi per quasi 247 miliardi.
Le previsioni dell’Upb indicano che nel 2026 le emissioni nette di titoli di Stato saranno pari a 103 miliardi di euro, leggermente superiori a quelle del 2025. Complessivamente il mercato dovrebbe assorbire circa 175 miliardi di debito italiano, un volume simile a quello di quest’anno. Un ruolo sempre più rilevante è giocato dagli investitori esteri, tornati a detenere circa un terzo del debito pubblico, mentre famiglie e piccoli risparmiatori hanno rafforzato la loro presenza: dal 2022 i portafogli retail si sono arricchiti di 250 miliardi di Btp e Bot, portando la quota in mano ai cittadini al 15% del totale. Un segnale di fiducia che accompagna la fase di discesa dei costi e rafforza la stabilità finanziaria del Paese.