Un intero clan a processo: la DDA chiude il cerchio sul Laurentino 38

07/06/2025

Sono 31 le persone finite a processo per i loro legami diretti o indiretti con il clan dei calabresi sgominato lo scorso gennaio dalla Direzione distrettuale antimafia di Roma. Il gruppo criminale, radicato al Laurentino 38, aveva messo in piedi una rete di spaccio di cocaina e hashish capace di rifornire vaste aree della capitale. Al vertice dell’organizzazione c’era Rocco Iaria, detto il Bestia, affiancato dal fratello Antonio, dalla madre Antonia Scarcella e dallo zio Giovanni. Il pubblico ministero Carlo Villani ha richiesto per tutti il giudizio immediato, e per 25 di loro è stato ammesso il rito abbreviato. Il procedimento per altri cinque è già iniziato a maggio, mentre un altro imputato, Fabrizio Lori – fratello di Alessio, trovato morto in un B&B – è stato rinviato a giudizio.

Secondo gli inquirenti, il clan controllava quattro piazze di spaccio solo al Laurentino 38: due nel Ponte XI, una nel V e un’altra nel VI. Le intercettazioni ambientali hanno rivelato la sicurezza e la brutalità di Rocco Iaria, che si vantava del potere criminale del gruppo: “A Roma abbiamo una batteria che fa spavento, parte da Centocelle e arriva a Ostia. Siamo calabresi… lavoriamo giù in Calabria e da là carichiamo sopra 50/60 pacchi al mese”. Iaria parlava spesso da solo in auto, convinto di non essere ascoltato, ma le microspie hanno documentato i dettagli operativi del traffico di droga: somme settimanali tra i 16 e i 20 mila euro.

Non solo droga. Il clan imponeva con violenza e intimidazioni il proprio dominio sul quartiere popolare. Quando alcuni residenti hanno cercato di opporsi, si è scatenata la rappresaglia. Il 4 febbraio 2022, in pieno giorno, un gruppo armato di spranghe fece irruzione nel bar “Antico Caffè” in viale Marinetti, aggredendo il titolare e la moglie. Alcuni clienti si opposero e riuscirono a limitare i danni. Una delle piazze di spaccio era nelle mani di Giovanni Scarcella, lo zio del boss, insieme alla moglie e alle figlie, che avrebbero gestito anche i contatti con il fornitore Fabrizio Lori. Tutti sono difesi dall’avvocato Francesco Antonio Poggio, che ha dichiarato a fine udienza: “Faremo di tutto per evidenziare un corto circuito nell’impianto accusatorio”.

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