
Roma, 55enne condannato per percosse e minacce alla moglie e alla figlia
Una lunga scia di violenze consumate tra le mura di casa, sotto gli occhi dei figli, culminata con una condanna a tre anni e mezzo di reclusione. È la sentenza pronunciata due giorni fa dal Tribunale di Roma nei confronti di Ionel M., 55 anni, di origini rumene, ritenuto responsabile di maltrattamenti aggravati nei confronti della moglie e di minacce gravi alla figlia ventenne. Il processo ha ricostruito un quadro drammatico di vessazioni quotidiane, un clima familiare definito dai giudici come “oppressivo e sistematicamente violento”, durato per anni nella periferia est della Capitale.
Secondo quanto emerso in aula, le violenze non si sono manifestate come episodi isolati, ma come una vera e propria escalation. La prima aggressione accertata risale alla notte di Capodanno del 31 dicembre 2020, quando una lite domestica è degenerata e l’uomo ha colpito la moglie con un calcio, trasformando una serata di festa in un incubo. Nei mesi successivi la situazione è ulteriormente peggiorata: nel maggio 2021 la donna è stata schiaffeggiata e percossa, mentre ad agosto, dopo l’ennesima discussione, il marito ha distrutto i fiori sul terrazzo e, trovandola barricata in camera, ha sfondato la porta a calci.
Il punto di non ritorno arriva l’11 ottobre 2021. La donna si trovava seduta sul divano quando l’uomo la costringe ad alzarsi e le scaglia contro un barattolo, colpendola alla testa e provocandole una ferita grave. La scena si consuma davanti ai figli, ormai testimoni abituali di quelle aggressioni. A maggio 2023 un altro oggetto, un piatto, viene lanciato contro la moglie, colpendola alla schiena.
L’episodio più inquietante coinvolge la figlia ventenne. Il 13 luglio 2023, dopo che la ragazza si era chiusa a chiave nella sua stanza, forse per sottrarsi all’ennesima tensione, il padre butta giù la porta a calci e la minaccia con un coltello. Le immagini di quei momenti, finite agli atti del processo, hanno avuto un peso determinante nella ricostruzione dei fatti. Solo tre giorni dopo, il 16 luglio, l’uomo si è nuovamente accanito sulla moglie, colpendola con un pugno alla schiena.
Le violenze, però, non erano soltanto fisiche. In aula è emerso un quadro di continue umiliazioni psicologiche. L’imputato brandiva spesso una corda davanti alla moglie, evocando la morte del padre della donna, suicidatosi anni prima, e lasciando intendere che «quello fosse il destino che meritava». Nei periodi in cui la vittima non lavorava, le venivano negati beni essenziali come l’acqua calda o la corrente elettrica; quando invece usciva per andare al lavoro, veniva insultata e accusata di comportamenti disonorevoli.
I giudici hanno riconosciuto la gravità e la reiterazione delle condotte, sottolineando come il comportamento dell’uomo abbia creato un clima di terrore continuo all’interno della famiglia. Una spirale di violenza che, solo dopo anni di soprusi, ha trovato un punto fermo nella sentenza di condanna.
M.M.