
Ostia, concessioni e abusi: inchiesta della Procura su 21 stabilimenti
Tutto cambia affinché nulla cambi. L’ondata di discontinuità annunciata sul litorale romano, con la messa a bando delle concessioni per stabilimenti balneari, spiagge libere e strutture di ristorazione su area demaniale, si è scontrata con una realtà molto più complessa. La Procura di Roma ha infatti aperto una doppia inchiesta che riguarda 21 stabilimenti su 30, pari a circa il 70 per cento delle attività presenti nel tratto di costa che va dalla foce del Tevere fino ai confini con Torvaianica.
I due filoni d’indagine viaggiano su binari paralleli ma intrecciati. Il primo punta a far emergere una lunga serie di abusi edilizi stratificati negli anni, tanto diffusi da far dire a uno degli imprenditori colpiti dai sequestri: «Non siamo gli unici». Una frase che, secondo quanto emerso dalle verifiche successive, sembra fotografare una situazione in cui le irregolarità non rappresentano l’eccezione ma la regola.
Questo primo fascicolo, coordinato dal procuratore aggiunto Antonino Di Maio e affidato al sostituto procuratore Stefano Pizza, ipotizza i reati di abuso edilizio, occupazione abusiva di spazio demaniale e falso. A maggio, Guardia di Finanza di Ostia e polizia locale hanno posto i sigilli agli stabilimenti Bungalow, Bettina, Mariposa e Peppino a Mare, risultati privi di concessione demaniale marittima. A giugno è toccato al Capanno e al Venezia. Il 18 luglio, nel pieno della stagione estiva, l’attenzione si è concentrata sul V-Lounge, noto stabilimento frequentato anche da esponenti politici e personaggi pubblici. In quel caso sono state chiuse per abusi edilizi piscine, area spa, ristorante, veranda, parcheggi, spogliatoi e servizi igienici, lasciando operative soltanto le cabine.
Tre giorni dopo il Campidoglio ha convocato i rappresentanti degli imprenditori balneari, chiedendo la demolizione dei manufatti abusivi, inclusi quelli che avevano ottenuto permessi in sanatoria. Dalla mappatura comunale effettuata lo scorso anno è infatti emerso come molti stabilimenti presentino opere realizzate senza titolo edilizio nel corso del tempo.
Il secondo filone d’inchiesta guarda invece alle procedure di assegnazione delle nuove concessioni. Coordinato dal procuratore aggiunto Giuseppe De Falco, titolare dei reati contro la pubblica amministrazione, il fascicolo nasce da un esposto che ipotizza una possibile turbativa d’asta. Secondo chi indaga, dietro alcune delle società che si sono aggiudicate i bandi potrebbero celarsi, attraverso intrecci societari, gli stessi imprenditori che per decenni hanno gestito stabilimenti e chioschi sul litorale.
Un elemento particolarmente delicato riguarda il clima di intimidazione che avrebbe accompagnato le gare. È emerso che alcuni operatori economici, pur interessati a partecipare, avrebbero rinunciato per timore di ritorsioni, tra cui incendi dolosi e minacce personali. «Tutte le volte che l’Amministrazione mostra il proprio attivo interesse su Ostia c’è una reazione generale. La criminalità organizzata non vuole che lo Stato si riappropri di pezzi del territorio», aveva spiegato lo scorso luglio l’assessore capitolino al Patrimonio Tobia Zevi, mentre il sindaco Roberto Gualtieri annunciava la demolizione dello stabilimento Aneme e Core, confiscato alla mafia.
A maggio il Campidoglio aveva comunicato che, delle 31 strutture messe a gara, solo un lotto era rimasto senza offerte. Le proposte pervenute erano state circa un centinaio, relative a stabilimenti, ristoranti e chioschi, con l’obiettivo dichiarato di garantire un ricambio nella gestione. Secondo i dati iniziali, circa il 30 per cento delle concessioni era finito a nuovi soggetti, almeno per un anno. Ora spetterà ai magistrati stabilire se dietro quelle assegnazioni si celino irregolarità o reati.
M.M.