
Commercialista accusato di maxi truffa fiscale da 2 milioni di euro

Una ventina di clienti si erano affidati a lui per la gestione fiscale delle proprie attività, ma il denaro destinato al pagamento di tasse e contributi sarebbe sparito nel nulla. Quasi due milioni di euro sarebbero stati incassati da Claudio Capogna, titolare dello studio di consulenza finito sotto indagine insieme a due suoi collaboratori, Luca Zezza e Aniello D’Ettore. Secondo la Procura di Roma, i tre avrebbero messo in piedi un sistema truffaldino basato su false compensazioni fiscali, documenti contraffatti e partite Iva aperte a insaputa dei clienti. Durante la scorsa udienza preliminare, il pubblico ministero ha chiesto il rinvio a giudizio per tutti gli imputati, con le gravi accuse di associazione a delinquere e truffa aggravata.
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, Capogna e i suoi collaboratori, una volta ottenuti i fondi dai clienti, avrebbero garantito di adempiere agli obblighi fiscali, omettendo però i pagamenti e trattenendo il denaro. Per giustificare la mancata trasmissione dei fondi al Fisco, avrebbero simulato crediti tributari inesistenti, generati da false dichiarazioni Iva e sui redditi, per poi effettuare compensazioni fittizie tramite modelli F24. In alcuni casi, i clienti non sarebbero neppure stati informati dell’apertura di partite Iva a loro nome. Il tutto veniva poi camuffato tramite quietanze contraffatte, che facevano apparire le imposte come regolarmente saldate. I fondi sarebbero stati successivamente riciclati o trasferiti a società terze, tra cui la “Capogna Claudio Team srls” e la “Claudio Capogna Team srls”. Gli importi sottratti sono consistenti: alcuni clienti avrebbero versato fino a un milione di euro in totale, tra il 2016 e il 2019.
La linea difensiva, portata avanti dall’avvocato Patrizio Alecce, contesta radicalmente il quadro accusatorio. “Il mio assistito non ha mai avuto alcun ruolo nella gestione delle due società al centro dell’indagine”, ha dichiarato il legale. “I documenti agli atti dimostrano che non risultano legami tra Capogna e le due società indicate, né a livello societario né bancario”. La difesa sostiene inoltre che siano stati gli altri imputati a gestire autonomamente le operazioni, utilizzando le società come strumenti per incassare assegni. A supporto della tesi, viene citato un messaggio Whatsapp del 2017, in cui Capogna avrebbe chiesto spiegazioni su un assegno sospetto: “Un elemento che dimostra la sua totale estraneità ai fatti”, ribadisce l’avvocato. Di diverso avviso le parti civili, che confidano nel rinvio a giudizio: “Ci sono elementi solidi per arrivare al processo”, ha affermato l’avvocato Gino Salvatori, legale di una delle vittime. La decisione del giudice è attesa per il 16 luglio.