Raffaello, l’amico banchiere e il sogno dell’antico

28/03/2023

Colto e perfezionista, il grande Raffaello vantava una conoscenza profonda della cultura classica, tanto da riuscire persino a riconoscere gli stili diversi dei rilievi dell’arco di Costantino. Molto gli venne dal lavoro di soprintendente all’antichità e di direttore di cantieri archeologici che fece per il papato, è chiaro. Ma tanto contò l’amicizia privilegiata con uno tra i più importanti dei suoi mecenati, il senese Agostino Chigi, banchiere dei papi e raffinato collezionista, con il quale condivideva la passione per l’arte e per l’antico. Un’amicizia importante, quella tra il pittore di fama e il potente mercante. Tanto che a dispetto dei mille gravosi impegni che riempirono i suoi anni romani, Raffaello accettò da Chigi più di un incarico per la decorazione della maestosa residenza che questi si era fatto costruire sulle sponde del Tevere, quella che oggi si chiama Villa Farnesina, per la quale l’urbinate progettò l’edificio delle scuderie -poi demolito nell’800- e firmò capolavori come il trionfo di Galatea e la volta di Amore e Psiche.
Nati a 17 anni di distanza l’uno dall’altro, Chigi e Raffaello morirono entrambi nell’aprile del 1520, il banchiere solo quattro giorni dopo l’artista. E con loro si dissolse la collezione di antichità messa insieme da Chigi, persino la casa passò di mano, venduta nel 1579 ai vicini Farnese, da cui poi ha preso il nome. A distanza di 500 anni da quei fatti, la storia di quel sodalizio professionale e amicale rivive in una mostra “Raffaello e l’antico nella villa di Agostino Chigi” che dal 6 aprile al 2 luglio riporta nella residenza del banchiere, dal 1944 sede di rappresentanza dei Lincei, alcuni dei suoi tesori più amati. E nello stesso tempo, facendo luce sul continuo gioco di rimandi e citazioni che si nasconde dietro ogni singola decorazione degli ambienti, punta a ricostruire la specialissima atmosfera culturale che Agostino aveva saputo creare, coinvolgendo intorno a sé artisti, filosofi, umanisti, i talenti e le intelligenze migliori del suo tempo.
Curata da Alessandro Zuccari e Costanza Barbieri, la rassegna dei Lincei – ultimo scampolo delle celebrazioni per il cinquecentenario della morte del grande pittore- accende insomma una luce sull’influenza che la straordinaria collezione di statue, sarcofagi, cammei, rilievi, libri e monete antiche raccolte da Agostino Chigi, tra le più rilevanti del Rinascimento, ha avuto sull’arte di Raffaello e sulla passione per l’antico che lo portò anche a ricostruire e sperimentare l’antico blu egizio per la sua dolcissima Galatea. Dal gruppo marmoreo romano di Pan e Dafni alla Psiche alata della prima età imperiale, entrambe oggi ai musei capitolini, dalla testa bronzea di Antinoo che viene dall’archeologico Firenze al cameo con le figure di Marte e Venere del Kunsthistorisches Museum di Vienna, il percorso offre quindi un assaggio portentoso di quello che la villa all’epoca doveva essere allora, pensata per stupire e affascinare ad ogni passo i suoi visitatori. Mentre per l’occasione è stato ripristinato lo scenografico ingresso originale che si apriva proprio dalla Loggia di Amore e Psiche e due installazioni riportano l’attenzione sia sulle perdute scuderie, sia sul ponte che i Farnese avrebbero voluto costruire sul fiume per mettere in collegamento palazzo e villa. Spregiudicato e abilissimo, Chigi “il magnifico”, come lo chiamavano i suoi contemporanei, era anche un imprenditore di enorme successo che grazie ai prestiti concessi a papi e regnanti aveva costruito un impero tra miniere di sale ed estrazione dell’allume. La residenza sul Tevere che si era fatto progettare da Baldassarre Peruzzi con le logge, le sale affrescate, il giardino costruito come uno scrigno odoroso di essenze rare e preziose, era a tutti gli effetti una piccola reggia, un luogo dove persino i papi non disdegnavano l’invito.
Un posto di piacere dove realizzare il sogno culturale della sua epoca, quello di vivere “al passo con l’antico”, il genio del passato a dialogo con le migliori espressioni del presente, tanto che nelle cantine aveva fatto allestire persino una tipografia dove stampare in greco Pindaro e Teocrito. Quando morì, a 54 anni, il mecenate era all’apice della sua potenza. Da poco aveva sposato Francesca Ordeaschi, un matrimonio spudorato e rivoluzionario per l’epoca, perché la bellissima sposa era una cortigiana che si era portato a Roma facendone la madre dei suoi figli. I lavori della villa erano stati affrettati proprio per queste nozze, festeggiate alla presenza di Leone X. In casa dovevano esserci allora almeno 80 tra statue e frammenti antichi, molto altro era esposto all’esterno. Una fortuna che né Agostino, né la sua sposa riuscirono a godersi davvero: forse avvelenata, Francesca Ordeaschi Chigi morì sette mesi dopo il marito, lasciando orfani i figli ancora bambini. Statue, cammei, gioielli, libri finirono nelle dimore di altri potenti, Cesi, Farnese, Gonzaga, Medici. L’utopia di classica perfezione di Raffaello e del suo amico banchiere sfumata. E chissà che cinque secoli dopo, con gli oggetti tornati a casa di nuovo in dialogo con le pitture che ne affollano le pareti, quel sogno, almeno per un po’, non possa davvero tornare a rivivere.

ansa

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