
Roma, spaccio 3.0, l’inchiesta sugli insospettabili “pusher a ore”

Si muovono in scooter, con lo zaino da rider o la divisa arancione dei netturbini, tra un turno di lavoro e l’altro. Consegne rapide, pagamenti in contanti, dosi nascoste tra i sacchi dell’immondizia o nei cofanetti di casa. È la nuova frontiera dello spaccio in Italia: quella dei “pusher a ore”, uomini e donne apparentemente comuni – studenti, ausiliari del traffico, negozianti, operatori ecologici – arruolati dai clan criminali come pedine temporanee, operative per poche ore o pochi giorni, difficilissime da individuare.
Dietro la facciata di una vita normale, alcuni di loro custodiscono droga, bilancini e migliaia di euro in contanti, diventando ingranaggi silenziosi di un sistema di spaccio decentralizzato, costruito per eludere i controlli delle forze dell’ordine. «Rider a tempo determinato», li definiscono i carabinieri, che negli ultimi mesi stanno scoprendo un fenomeno in rapida espansione da Roma a Napoli, fino al Nord Italia.
Il meccanismo, spiegano gli inquirenti, è semplice ma ingegnoso: i clan restano invisibili, delegando la vendita al dettaglio a soggetti senza precedenti penali e difficili da collegare alle organizzazioni. Ogni “lavoratore” porta con sé piccole quantità di droga, così da essere classificato come consumatore in caso di fermo. Il vantaggio per i gruppi criminali è doppio: meno rischi e totale protezione della rete di comando. «È un sistema studiato per rendere quasi impossibile risalire ai vertici», spiegano gli investigatori. «Il web è parte integrante del gioco: oggi lo spaccio nasce online, tra ordini su Telegram e WhatsApp. Per contrastarlo serve un vero pattugliamento digitale, il cosiddetto web patrolling».
Gli ultimi casi arrivano dal Napoli nord. A Grumo Nevano, i carabinieri della compagnia di Caivano hanno arrestato un netturbino di 38 anni, padre di famiglia, trovato con 78 grammi di cocaina purissima e 40mila euro in contanti nascosti in camera da letto. Un piccolo laboratorio casalingo con bilancini e materiale per il confezionamento. Ventiquattr’ore dopo, a Bacoli, è toccato a un ausiliare del traffico di 32 anni, incensurato. Fermato vicino a un bar con un modesto quantitativo di marijuana, è risultato in realtà gestire un deposito parallelo: i carabinieri hanno scoperto 1,5 chili di marijuana, 1 chilo di hashish, 24 grammi di cocaina, 56 di ketamina, 581 pasticche di ecstasy e 17 dosi di cocaina rosa. «Chimica pura destinata alla movida», precisano gli investigatori.
Per gli inquirenti, si tratta di una metamorfosi dello spaccio. In passato, venivano usati anziani o donne per custodire la droga; oggi, invece, si punta su lavoratori precari o occasionali, attratti da “lavoretti” illegali per guadagnare in fretta qualche centinaio di euro e arrotondare lo stipendio. «È gente normale, che non ha mai avuto a che fare con la criminalità. Tremano quando li fermiamo», raccontano i carabinieri. «Ma dietro di loro c’è chi li manovra, chi sa quanto pagarli e come farli sparire».
Il rischio cresce con la diffusione di nuove droghe sintetiche come la ketamina e la cocaina rosa, sempre più diffuse tra i giovanissimi. «Abbiamo registrato diversi casi di overdose – spiegano gli investigatori – e per questo abbiamo alzato il livello di allerta». Gli arresti di Grumo Nevano e Bacoli, sottolineano le forze dell’ordine, rappresentano solo «la punta dell’iceberg» di una rete capillare e adattiva, in grado di sfruttare i canali del web, la precarietà economica e l’anonimato metropolitano per reinventare lo spaccio nell’era digitale.