
Le oramai celebri e celebrate cantine anni ’70 della neoavanguardia romana hanno sicuramente un antecedente storico nella ricerca sperimentale del Teatro degli Indipendenti, ricavato in uno scantinato in Via degli Avignonesi, tra i resti delle Terme romane di Settimio Severo. Gli spazi furono sistemati dall’architetto futurista Virgilio Marchi, per creare sale d’esposizione e un piccolo teatro diretto da Anton Giulio Bragaglia, che iniziò l’attività proprio cento anni fa, a inizio 1923. Bragaglia vi allestì circa 150 spettacoli sino al 1936 e, oltre a alcuni lodati balletti e pantomime musicali, due atti unici che gli diede Pirandello, ”Le mammelle di Tiresia” di Apollinaire presentato da Marinetti e molti testi di nomi italiani spinti a scrivere per il teatro, da Riccardo Bacchelli a Achille Campanile, e scoperte di stranieri da Wedekind a Jarry ma anche O’ Neill e Brecht con ”L’opera da tre soldi”.
Nato nel 1890, quindi all’epoca poco più che trentenne, e morto ottantenne nel 1960, andava avanti per la sua strada, e con un certo seguito, parlando di ”eclettismo e ricerca d’avanguardia”, che ”si ispira al grande teatro”, così che quei suoi spazi furono negli anni Venti uno dei luoghi della capitale più vivaci della cultura d’avanguardia, spesso detta per semplificare futurista. Ritrovo e occasione di confronto degli intellettuali, Bragaglia vi faceva conoscere cose nuove sia a teatro sia con le mostre, dando spazio agli artisti emergenti, partendo da Depero e Boccioni per arrivare a Trombadori, Socrate, Francalancia, Bartolini, Mafai e tanti altri che avrebbero dato vita alla cosiddetta Scuola romana, oltre a riproporre le ricerche fotografiche ‘fotodinamiche’ del fratello Carlo Ludovico, che diverrà poi apprezzato regista cinematografico.
Un operato così libero e intenso portò la Casa d’arte e il Teatro a continue crisi finanziarie e quando ristorante e tabarin finirono nelle mire del moralismo fascista sui locali notturni, per fare fronte alle perdite, Bragaglia intraprese una tournée sudamericana, affidando le attività di Via degli Avignonesi, al fratello Anton Giulio. Ma non bastò e poco dopo il suo ritorno, nel 1930, si decise chiudere, mettendo tutto all’asta.
ANSA
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