
Condannato a 18 anni il narcos albanese Elvis Demce, l’erede di Diabolik

Il processo di secondo grado sul tentato omicidio di Alessio Marzani, avvenuto nel 2020 ad Acilia, si è concluso con la conferma di tre condanne e una riduzione di pena. Al centro della vicenda un intreccio di traffici di droga, silenzi comprati e vendette, culminato in un agguato che avrebbe potuto trasformarsi in un omicidio.
La Corte d’Appello ha confermato i 18 anni e mezzo di carcere per Elvis Demce, narcotrafficante italo-albanese considerato figura chiave dell’organizzazione, i 15 anni e sei mesi per Daniele Gallarello, attivo tra Acilia e Ostia, e i 14 anni per Alessandro Corvesi, ex promessa delle giovanili della Lazio. A Marzani, vittima dell’agguato, restano anche 11 anni per estorsione ai danni dello stesso gruppo. Ridotta invece da 18 a 14 anni la condanna di Matteo Costacurta, soprannominato il “principe”, per il mancato riconoscimento della recidiva.
L’attacco avvenne il 22 ottobre 2020: Marzani fu colpito da due proiettili mentre si trovava in bicicletta in via Giovanni Leonardi. Gravemente ferito al torace e al braccio, riuscì a sopravvivere. Secondo la ricostruzione, Gallarello non avrebbe tollerato le richieste economiche di Marzani per il silenzio mantenuto nei suoi confronti durante un processo per droga. Per questo avrebbe incaricato Corvesi di metterlo in contatto con persone disposte a eliminare l’uomo, dietro pagamento di 45mila euro, di cui 15mila finiti a Demce come intermediazione e 30mila consegnati a Costacurta e a un complice non identificato.
Determinanti per il processo sono state le chat criptate su Sky-Ecc, decriptate dagli investigatori, che hanno ricostruito i contatti tra i membri del gruppo. In un messaggio, Demce scriveva: «Ho ‘na squadra di sei leoni che faccio sparare in testa al papa se mi dà fastidio». Corvesi e Demce, parlando di Costacurta, lo chiamavano “San Pietro” e commentavano la sorte di Marzani con frasi come «lo mannamo a giocà a briscola e tresette co’ San Pietro».
In aula il pm Palazzi ha definito Costacurta «un personaggio inquietante», spiegando: «Non ha bisogno di delinquere per motivi economici. Ha una buona famiglia e potrebbe condurre una vita agiata, ma sceglie il crimine per piacere personale». Dalle carte emerge inoltre un profilo ideologico preoccupante: il “principe” si descrive come «orgogliosamente fascista», alimentando un’immagine di criminale non solo spietato ma anche radicalizzato.
Con la sentenza di appello, il processo segna un punto fermo nella lotta contro un gruppo definito dalla procura «di elevatissima capacità criminale e pericolosità sociale», ma restano ancora in corso indagini per identificare tutti i soggetti coinvolti.