
Inflazione, Italia al di sotto della media UE. Prezzi in calo dello 0,3%
L’Italia rallenta più del resto d’Europa e va in controtendenza rispetto all’Eurozona sul fronte dell’inflazione. Ieri l’Istat ha confermato le stime preliminari: a ottobre i prezzi al consumo sono diminuiti dello 0,3% rispetto a settembre, mentre su base annua la crescita si è fermata all’1,2%, in calo dal +1,6% registrato due mesi fa. Il tasso di inflazione acquisito per il 2025 è dell’1,6%. Un quadro che contribuisce a rafforzare l’appeal del debito italiano, con il rendimento del Btp benchmark sceso al 3,44%.
Diversa la dinamica nel resto dell’Eurozona, dove l’inflazione media – pur in calo – resta al 2,1% annuo. Secondo le previsioni di Eurostat, in Italia i prezzi risaliranno all’1,7% nel 2025, scenderanno all’1,3% nel 2026 e torneranno al 2% nel 2027, rientrando pienamente nei target della Banca Centrale Europea.
Il principale contributo al rallentamento dei prezzi arriva dal comparto energetico. Il valore annuo degli energetici regolamentati è crollato dal +13,9% allo 0,5% in negativo. Anche gli energetici non regolamentati proseguono la discesa, passando da -5,2% a -4,9%. La voce “elettricità, gas e combustibili solidi” cala dal -5,2% al -6,9%, con una flessione congiunturale dell’1,7%. Più stabile l’andamento dei carburanti, con un calo su base mensile e un lieve miglioramento del dato annuo.
Tra gli indicatori monitorati con maggiore attenzione dalle famiglie c’è il carrello della spesa: i prezzi degli alimentari e dei prodotti per la cura della persona crescono ancora più dell’inflazione generale, ma mostrano un significativo rallentamento, scendendo dal +3,1% al +2,1%. «È un dato positivo, pur restando superiore all’inflazione complessiva», commenta Carlo Alberto Buttarelli, presidente di Federdistribuzione. «Ora serve sostenere il potere d’acquisto del ceto medio e affrontare il calo della propensione ai consumi».
Frenano anche i prezzi degli alimentari non lavorati (dal +4,8% all’1,9%), quelli dei servizi legati ai trasporti (dal +2,4% al +2%) e dei prodotti alimentari lavorati (dal +2,7% al +2,5%). In lieve aumento, invece, i servizi ricreativi, culturali e alla persona, che passano dal +3,1% al +3,3%. L’Istat segnala inoltre un ampliamento del differenziale inflazionistico tra beni e servizi: mentre i prezzi dei beni rallentano dallo 0,6% allo 0,2%, quelli dei servizi restano fermi al +2,6%.
Tra le spese che più incidono sulle famiglie cala il comparto istruzione (da +3,1% a +1,5%), così come alimentari e bevande analcoliche (da +3,7% a +2,5%). Giù anche “abitazione, acqua, elettricità e combustibili” (da -1% a -1,7%) e le Comunicazioni (da -4,6% a -5,1%). Crescono invece i servizi ricettivi e di ristorazione.
A livello territoriale, le differenze restano significative. Secondo l’Istat, l’inflazione più alta si registra a Napoli (+2%), seguita da Bolzano e Bari (entrambe +1,9%). I livelli più bassi appartengono invece a Messina (+0,5%) e Campobasso (+0,1%). L’Unione consumatori amplia il quadro ai comuni non capoluogo: Siena guida la classifica con un’inflazione tendenziale del +2,8%, traducendosi in una spesa aggiuntiva di 757 euro l’anno per famiglia. Seguono Bolzano (+630 euro) e Pistoia (+568 euro).
Un’Italia che rallenta, dunque, ma con differenze marcate da territorio a territorio e un carrello della spesa ancora più caro della media generale. Un equilibrio fragile che, secondo gli esperti, richiederà un sostegno mirato ai consumi per evitare un ulteriore indebolimento della domanda interna.