
I veleni nel pool antimafia. Insulti choc alla famiglia Borsellino

Un’inchiesta che scuote la memoria delle stragi di mafia e mette in luce dinamiche oscure tra politica e giustizia. Gioacchino Natoli, ex pm del pool antimafia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, è indagato dalla Procura di Caltanissetta per favoreggiamento alla mafia. Al centro dell’indagine, la sua audizione del 23 gennaio 2024 davanti alla Commissione parlamentare antimafia, nella quale avrebbe tentato di pilotare il contenuto delle domande che avrebbe dovuto ricevere: in sostanza lo si accusa di aver cercato di apparecchiarsi l’audizione con un pacchetto pre-confezionato di quesiti, evitando tematiche “scomode”.
Dalle carte dell’inchiesta emergono intercettazioni compromettenti, rese pubbliche nella trasmissione Lo Stato delle cose condotta da Massimo Giletti su Rai 3. In un dialogo con l’ex collega Roberto Scarpinato, oggi senatore M5S e membro della stessa Commissione, Natoli chiede: «Gli passi qualche domanda tu. Fammi dare lo spunto». Scarpinato, pur rassicurandolo sul fatto che lo avrebbe fatto parlare, respinge però l’idea di coinvolgere altri parlamentari come Andrea Orlando, Walter Verini e Giuseppe Provenzano, ipotizzati da Natoli come possibili “sponde” per ottenere altre domande addomesticate. Non solo questo, la trasmissione di Giletti ha rivelato dell’altro.
Non meno gravi, infatti, sono le intercettazioni ambientali registrate nella casa di Natoli, in cui, parlando con la moglie e la figlia, vengono rivolti giudizi offensivi verso la famiglia Borsellino. «Sono tutti senza neuroni», afferma la figlia, mentre Natoli commenta la testimonianza della vedova Agnese Borsellino definendola priva di valore. Lo stesso ex pm, con toni irridenti, aggiunge: «Hai mai sentito al mondo qualcuno che abbia dato retta a quello che diceva Agnese Borsellino? Io manco sapevo se era viva o morta». E insiste ancora con l’insulto derisorio: «Era la moglie dell’eroe, il quale quando era in vita la sbeffeggiava con i colleghi». Battute di pessimo gusto che hanno suscitato una sacrosanta indignazione, considerando il ruolo che Borsellino ebbe nella lotta a Cosa nostra, il sacrificio pagato con la vita e la sofferenza patita dai suoi familiari per la perdita. E se a livello dell’inchiesta giudiziaria i giudizi personali espressi nei confronti della famiglia Borsellino non hanno rilevanza, certamente quel che ne emerge è un quadro desolante.
La vicenda ruota attorno al controverso dossier “mafia e appalti”, indicato da una parte della magistratura come possibile movente della strage di via D’Amelio. Scarpinato ha respinto ogni accusa di manipolazione, chiarendo a Il Messaggero: «È falso che la richiesta di archiviazione per alcuni soggetti nell’inchiesta del 13 luglio 1992 fu taciuta nell’incontro del 14 luglio alla presenza di Borsellino. Altri magistrati e lo stesso Natoli in Commissione Antimafia hanno riferito che si parlò di quella richiesta di archiviazione quando c’era lo stesso Borsellino. Questo dimostra che la tesi su “mafia e appalti” come causa della strage è una palese forzatura fondata su falsità». Una posizione che cerca di ridimensionare le accuse, ma che non cancella le ombre che ancora gravano su uno dei capitoli più delicati della storia giudiziaria italiana.