
Torture ai disabili al Cem di Roma: disposti due rinvii a giudizio

Si è svolta l’altro ieri l’udienza preliminare presso il tribunale di Roma riguardante il caso di torture e maltrattamenti ai danni di pazienti con disabilità nel Centro di Educazione Motoria di via Ramazzini. Il gup ha disposto due rinvii a giudizio e accettato quattro patteggiamenti per alcuni dei dieci operatori sociosanitari accusati. Due imputati affronteranno il processo con rito ordinario, che inizierà a novembre 2025, mentre altri quattro hanno ottenuto il patteggiamento. Per due di loro è stata stabilita una pena di quattro anni di reclusione ai domiciliari, con un risarcimento alle vittime rispettivamente di 20 mila e 15 mila euro. Altri due hanno patteggiato una pena di due anni con sospensione, a patto di seguire un percorso di recupero per autori di reati violenti. Le accuse riguardano reiterate violenze fisiche e psicologiche su almeno due pazienti affetti da gravi patologie psico-fisiche. Le indagini erano state avviate nell’aprile 2023, dopo una denuncia presentata dai vertici della Croce Rossa di Roma, costituitasi parte civile nel processo. Il campanello d’allarme era stato un paziente con una vistosa ecchimosi al volto, compatibile con percosse.
Le indagini, condotte dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, hanno portato alla luce una realtà inquietante fatta di insulti, schiaffi, calci, tirate di capelli e persino minacce con acqua bollente. Le intercettazioni audio e video effettuate all’interno del centro hanno documentato una serie di episodi di violenza che si sono protratti per diversi mesi, dal giugno all’ottobre del 2023. Le vittime, persone con disabilità e incapaci di difendersi, subivano aggressioni quasi quotidiane da parte degli operatori sociosanitari, che invece avrebbero dovuto prendersi cura di loro. Gli episodi di maltrattamento hanno coinvolto personale proveniente da Roma e dalla Campania. Nel luglio 2023, sette di loro erano stati posti agli arresti domiciliari, mentre ad altri tre era stata sospesa la possibilità di esercitare la professione. La brutalità delle azioni, la frequenza e le modalità dei comportamenti violenti hanno spinto gli inquirenti a contestare il reato di tortura per cinque dei dieci imputati.
Le accuse, confermate dal gip, dipingono un quadro di violenze costanti e sistematiche. Gli operatori sociosanitari avrebbero considerato i pazienti come un fastidio, trattandoli come oggetti di intralcio e mostrando un’indole violenta e priva di scrupoli. Secondo quanto scritto nell’ordinanza, gli imputati avrebbero agito “con crudeltà“, tradendo i principi etici fondamentali della loro professione, che dovrebbe basarsi sulla solidarietà umana. Le loro condotte sono state definite dal pm come una vera e propria “galleria degli orrori“, in cui le vittime venivano derise e umiliate per i loro deficit mentali. Il giudice ha sottolineato che queste azioni inqualificabili non solo rappresentano una grave violazione dei doveri professionali, ma dimostrano una pericolosa indifferenza verso la sofferenza umana.