
Cinese condannato a 16 mesi, ma per errore di traduzione

Un cittadino cinese è stato protagonista di un grave errore giudiziario che lo ha visto ingiustamente recluso per 16 mesi, prima che una nuova perizia linguistica dimostrasse la sua innocenza. L’uomo, un 26enne residente in Italia, era stato accusato di violenza sessuale e lesioni personali nei confronti della sua compagna, una connazionale, a seguito di un alterco avvenuto lo scorso anno.
L’accusa contro di lui si basava su un errore di traduzione della parola “stupro”, che in cinese ha significati diversi a seconda del contesto. Nel caos dell’interrogatorio iniziale, con l’ausilio di un interprete non perfettamente qualificato, il termine utilizzato per descrivere la lite tra i due era stato interpretato come “violenza sessuale”, portando l’uomo in carcere per oltre un anno e agli arresti domiciliari per quattro mesi.
L’incidente era avvenuto il 24 maggio dello scorso anno, quando i carabinieri erano stati chiamati in un appartamento nel centro di Roma per quella che sembrava essere una situazione di pericolo. La ragazza, confusa e sotto shock, si era chiusa in bagno con un’amica per scappare dal compagno, raccontando di essere stata costretta ad avere rapporti sessuali senza il suo consenso. Questo racconto aveva portato all’immediata accusa di violenza sessuale contro l’uomo.
Durante il processo, però, sono emerse diverse contraddizioni, anche grazie a una nuova interpretazione più accurata della lingua cinese. Dopo una seconda dichiarazione della ragazza, questa ha specificato che non si trattava di violenza sessuale, ma di una lite degenerata con lesioni personali. Questa rettifica è stata confermata da un ulteriore esame linguistico, dimostrando che la parola usata nell’interrogatorio originale poteva avere diverse interpretazioni e che non rifletteva accuratamente i fatti.
La difesa dell’uomo ha richiesto una nuova perizia linguistica, che ha ribaltato la precedente accusa. Alla fine, il tribunale ha assolto l’imputato, riconoscendo che le accuse erano frutto di un errore di traduzione e di un fraintendimento durante il primo interrogatorio. Dopo 16 mesi, l’uomo è stato finalmente liberato, sollevato dall’incubo in cui era stato immerso a causa di una comprensione errata del linguaggio.
Il caso ha sollevato preoccupazioni sul sistema di traduzione giudiziaria in Italia, evidenziando quanto sia fondamentale la corretta interpretazione linguistica, soprattutto quando si trattano casi delicati come le accuse di violenza sessuale. Le autorità ora stanno valutando come migliorare la formazione degli interpreti utilizzati nei procedimenti legali, per evitare che simili errori si ripetano in futuro.