
Violenza di genere e povertà abitativa: quando la casa diventa una prigione

La violenza contro le donne si consuma troppo spesso tra le mura di casa. Quel luogo che dovrebbe rappresentare protezione e intimità si trasforma invece in uno spazio di paura, controllo e dipendenza. Secondo Women’s Aid, il 68% delle donne abusate non riesce a lasciare il proprio aggressore perché non ha un posto dove rifugiarsi. Denunciare diventa così un passo ancora più difficile, aggravato dalla mancanza di un’alternativa concreta. In questo contesto, povertà abitativa, violenza economica e violenza di genere si intrecciano in un circolo vizioso che priva le donne della libertà e della sicurezza.
Il diritto alla casa, riconosciuto già nel 1948 dalla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, è oggi uno dei nodi centrali nella lotta contro la violenza di genere. Come spiega Sofia Leda Salati, direttrice del Centro Antiviolenza Ersilia Bronzini, «il fatto che quasi sette donne su dieci non riescano a lasciare il proprio abuser ci ricorda una verità scomoda: la violenza domestica è anche una questione abitativa».
La povertà abitativa non comincia solo quando si perde la casa, ma quando non si può più viverla come un luogo sicuro. Le vittime spesso non hanno mezzi economici per cercare un alloggio alternativo, e la violenza economica – esercitata attraverso il controllo del reddito o la privazione dei mezzi di sostentamento – spezza ogni possibilità di autonomia. «Garantire il diritto a una casa significa garantire il diritto alla libertà», aggiunge Salati. «Ogni percorso di uscita dalla violenza deve puntare alla ricostruzione dell’autonomia: una casa sicura, un reddito stabile, un lavoro. Solo così la libertà torna a essere possibile».
Gli autori di violenza domestica esercitano un controllo sistematico fatto di isolamento, minacce e manipolazione. Per contrastare efficacemente questo meccanismo, serve una rete di sostegno basata su fiducia, accoglienza e percorsi di inclusione. È su questo fronte che operano la Fondazione Asilo Mariuccia, onlus attiva dal 1902, e il Centro Ersilia Bronzini, impegnati nel supporto a donne e minori vittime di maltrattamenti.
Le due realtà hanno chiesto di istituire con urgenza un tavolo operativo con Prefetture, Forze dell’Ordine, Centri antiviolenza e Case rifugio accreditate, per definire un Protocollo dedicato ai reati di genere, inclusi quelli legati al web. L’obiettivo è creare una strategia condivisa che unisca protezione immediata e percorsi di reinserimento duraturi. Ma la Fondazione richiama l’attenzione su un punto cruciale: servono strumenti aggiornati per affrontare le nuove forme di violenza, anche digitali, che amplificano il controllo e la vulnerabilità delle vittime.
La casa, dunque, resta il simbolo più potente della libertà: perderla significa perdere la possibilità di scegliere, vivere e proteggersi. Restituirla alle donne vittime di violenza non è solo un dovere sociale, ma un atto di giustizia e umanità.