
Se è vegano, non si può chiamare Burger: ne discute il Parlamento UE

Il Parlamento europeo torna a discutere di “meat sounding”, ossia dell’uso di termini tradizionalmente associati alla carne per descrivere prodotti vegetali. Oggi, durante la plenaria di Strasburgo, l’Eurocamera voterà un emendamento voluto dai Popolari europei (Ppe) che punta a vietare denominazioni come “burger”, “bistecca”, “salsiccia” o “scaloppina” per alimenti di origine non animale. Il provvedimento, inserito in un più ampio regolamento sulla tutela degli agricoltori nella filiera alimentare, riapre un dibattito che l’Unione europea affronta ormai da anni, divisa tra esigenze di chiarezza per i consumatori e libertà commerciale.
Secondo la proposta, nomi legati alla carne dovrebbero essere riservati esclusivamente ai prodotti di origine animale, lasciando ai sostituti vegetali l’obbligo di utilizzare terminologie alternative. La relatrice del provvedimento, Céline Imart, eurodeputata francese dei Républicains, ha spiegato: «Diciamo le cose come stanno. Non sono né salsicce né bistecche. Ognuno è libero di mangiare proteine alternative, ma chiamarle carne è fuorviante».
L’idea non è nuova. Già nel 2020 l’Europarlamento aveva discusso una misura simile, poi respinta, mentre nel 2023 la Corte di Giustizia dell’Ue aveva bocciato una legge francese che vietava termini come “steak” o “bacon” per prodotti vegetali, stabilendo che tali denominazioni sono ammissibili purché non inducano in errore sul contenuto. Anche in Italia, nel 2023, un decreto analogo era stato proposto e successivamente ritirato dopo l’intervento della stessa Corte.
Il voto odierno, tuttavia, si preannuncia più incerto. A favore del divieto si schierano centrodestra e destre europee, che insieme detengono la maggioranza dopo le elezioni del 2024. Tra i contrari, le forze progressiste e liberali, che accusano i promotori di voler colpire un settore in crescita e rispettoso dell’ambiente. «Se vogliamo davvero aiutare gli agricoltori, diamo loro contratti più solidi e strumenti per innovare, non guerre semantiche», ha dichiarato Anna Strolenberg, eurodeputata olandese dei Verdi.
Perfino nel Ppe non tutti appoggiano la linea dura. Il leader del gruppo, Manfred Weber, ha commentato: «La gente non è stupida quando va al supermercato», sottolineando che i consumatori sanno distinguere tra carne e alternative vegetali. In Germania, il più grande mercato europeo per i prodotti plant-based, catene come Lidl e Aldi hanno espresso preoccupazione, sostenendo che un eventuale divieto renderebbe più difficile per i clienti orientarsi e comporterebbe ingenti costi di marketing e riconfezionamento.
Dall’altra parte, Coldiretti plaude alla proposta, definendola «un passo importante per tutelare i consumatori e il lavoro degli allevatori europei». Secondo l’organizzazione agricola italiana, molti prodotti vegetali sfrutterebbero la notorietà di nomi tradizionali per promuovere alimenti «ultra-formulati e arricchiti con additivi di sintesi», generando confusione sui valori nutrizionali.
Attualmente, le norme europee vietano già l’uso di termini come “latte”, “yogurt” o “formaggio” per i sostituti vegetali, ma non esiste un analogo divieto per la carne. Se la plenaria dovesse approvare l’emendamento, la misura dovrà essere negoziata con il Consiglio dell’Ue prima di entrare in vigore, e solo allora potrebbe diventare legge.
Il voto è atteso per il primo pomeriggio. In gioco, non solo la libertà di marketing delle aziende alimentari, ma anche la definizione di cosa, nel XXI secolo, si possa davvero chiamare “carne”.