
Scacco al clan degli abusivi al Colosseo: sei bengalesi a processo

Sei cittadini bengalesi sono finiti a processo con l’accusa di associazione a delinquere, estorsione e violenza privata. Per anni, secondo le indagini della Polizia di Roma, avrebbero gestito con il pugno di ferro il commercio abusivo nell’area del Colosseo, dominando un vero e proprio racket organizzato che si estendeva a molti dei principali monumenti della capitale.
Le accuse contro il gruppo, composto da soggetti di età compresa tra i 40 e i 45 anni, includono estorsioni e intimidazioni rivolte non solo ai turisti, ma anche ai venditori ambulanti che non volevano sottostare al loro sistema di controllo. Le indagini hanno evidenziato come i membri del clan selezionassero chi poteva lavorare in determinate aree, chiedendo il pagamento di “pizze” o tangenti per poter vendere merce ai turisti. Chi si ribellava alle loro richieste, veniva minacciato e, in alcuni casi, brutalmente aggredito.
Le denunce che hanno portato all’arresto del gruppo risalgono all’inizio del 2017, quando un cittadino bengalese ha raccontato alle autorità come l’organizzazione avesse il controllo totale sulle postazioni più ambite per la vendita di acqua, selfie stick, souvenir e altri prodotti di largo consumo tra i turisti. Questo controllo era così capillare che, tramite vedette posizionate strategicamente, gli uomini del gruppo riuscivano a monitorare i movimenti delle forze dell’ordine, avvisando prontamente i venditori di ritirarsi per evitare sanzioni. Il sistema si basava su un’organizzazione ferrea, con il capo della banda, identificato con il soprannome di “Manik”, che gestiva i ruoli di ogni membro e decideva le aree dove potevano operare i venditori.
Durante le intercettazioni telefoniche, è emerso come i venditori fossero costretti a pagare tangenti settimanali per continuare a lavorare, con cifre che arrivavano fino a 300 euro al mese, a seconda della posizione assegnata. I più fedeli al clan potevano garantirsi postazioni redditizie vicino all’Anfiteatro Flavio, mentre chi non era disposto a pagare veniva spostato nelle aree meno trafficate, lontano dai principali flussi turistici.
Il sistema di estorsioni era così ben oliato che, secondo le stime degli inquirenti, il clan riusciva a guadagnare cifre considerevoli, con ogni venditore che generava almeno 1600 euro al mese per i vertici dell’organizzazione. I guadagni erano tali che l’attività si estendeva anche alle altre piazze turistiche di Roma, come Piazza di Spagna e il Vaticano.
L’inchiesta ha messo fine a un sistema che per anni ha prosperato impunemente, alimentando un circuito di illegalità e violenza nell’ombra dei monumenti più famosi del mondo. Ora il gruppo di sei imputati dovrà rispondere delle accuse davanti al tribunale.