
Roma, è giallo sulla fine della 39enne americana trovata morta in casa

Un mistero ancora irrisolto avvolge la morte di Leila Yuki Khelil, avvocata americana di 39 anni trovata senza vita lo scorso 15 luglio nel suo appartamento in via Giuseppe Antonio Guattani, a pochi passi da Villa Torlonia. La donna, originaria di Los Angeles, si trovava a Roma per frequentare un master in legge presso una prestigiosa università privata.
Il cadavere è stato rinvenuto da una coinquilina al suo rientro in casa dopo un weekend fuori città. L’aria nell’appartamento era già irrespirabile: secondo i primi rilievi Leila era morta da almeno tre giorni. Il personale del 118 e la polizia, giunti sul posto, hanno trovato la 39enne distesa sul letto, truccata e vestita con cura, accanto a un ventilatore acceso e a una confezione di Tachipirina aperta.
Il primo sanitario che ha constatato il decesso aveva notato delle macchie sull’addome, ipotizzando possibili cause violente. Per questo la Procura di Roma ha aperto un fascicolo per omicidio contro ignoti. Tuttavia, l’autopsia eseguita dal professor Aniello Maiese non ha evidenziato segni chiari di violenza, facendo emergere l’ipotesi che quelle ecchimosi fossero dovute alla decomposizione, accelerata dal caldo intenso di quei giorni.
Gli inquirenti, coordinati dalla pm Clara De Cecilia, hanno disposto ulteriori accertamenti tossicologici per chiarire se la donna avesse assunto sostanze in grado di provocarne il decesso, anche eventualmente sotto costrizione. I risultati sono attesi per il 19 settembre.
Nel frattempo, restano aperte molte domande: Leila aveva un appuntamento quel giorno? Aveva incontrato qualcuno prima di morire? E qualcuno si è introdotto nell’appartamento condiviso con altri studenti, italiani e stranieri, che nel frattempo hanno lasciato la casa?
La vicenda ha lasciato nello sconforto i familiari della donna, di padre tunisino e madre giapponese, che chiedono risposte rapide e la restituzione della salma per consentire i riti funebri secondo la tradizione shintoista. «Ho chiesto alla Procura una copia forense con i dati del cellulare di Leila, ma non ho ancora ricevuto risposta», ha dichiarato l’avvocato Francesco Zofrea, legale della famiglia.
Il padre, nel giorno del Labour Day, ha affidato a un messaggio la sua disperazione: «Mi hanno chiesto di non parlare, ma devo sapere cosa è successo a mia figlia». Il tempo stringe: i riti shintoisti prevedono che la sepoltura avvenga entro 50 giorni, al massimo 90, e ormai gran parte di questo periodo è trascorso senza certezze.
Il caso resta aperto e la città attende, insieme alla famiglia, che i risultati degli esami possano finalmente fare chiarezza su una morte che per ora resta avvolta dal mistero.