
Roma, 38enne muore di overdose di crack: arrestati 3 spacciatori

Una notte di droga e vino, poi il malore e la fine. Così è morta Josephine, 38enne di Colleferro, trovata senza vita il 5 febbraio scorso dopo aver assunto una dose letale di crack. Da quell’overdose è partita un’indagine che ha portato alla scoperta e allo smantellamento di una fitta rete di spaccio, con base a Tor Bella Monaca e ramificazioni nei Castelli Romani. Dopo mesi di intercettazioni, pedinamenti e analisi, i carabinieri hanno arrestato i tre principali indagati, legati a famiglie sinti già coinvolte in maxi-inchieste su episodi di sangue nella Capitale. «Josephine è venuta da me, voleva fare serata. Quando aveva bisogno di crack, se lo procurava da uno spacciatore che chiamava l’Orco», ha raccontato il compagno della vittima, visibilmente scosso.
Il cuore pulsante dell’organizzazione era Tor Bella Monaca, da dove partivano le consegne di crack dirette verso Colleferro, San Cesareo, Frascati, Giardinetti, Gallicano, Poli e Settecamini. Al centro del traffico c’erano G. Petrov, 32 anni, soprannominata “la Dama”, e G. Kamarov, 37 anni, detto “l’Orco”. Due volti noti alle forze dell’ordine, già coinvolti nella faida criminale che nel 2024 costò la vita ad Alexandru Ivan, un 14enne vittima di un proiettile vagante in un regolamento di conti. Nonostante i precedenti provvedimenti, i due continuavano a gestire il traffico: la Dama dai domiciliari a Tor Vergata, l’Orco dal carcere di Rebibbia, dove comunicava con l’esterno tramite codici in gergo decifrati dai militari. L’organizzazione era ben strutturata, con un 43enne romano che coordinava i pusher sul territorio.
La svolta è arrivata dall’analisi del cellulare della vittima. Pochi minuti prima di morire, Josephine aveva acquistato 3 grammi di crack proprio dall’Orco. La conferma è emersa anche da intercettazioni ambientali, immagini di videosorveglianza e testimonianze raccolte. La droga veniva distribuita con un sistema di consegne su base giornaliera, alimentato da mezzi puliti e cellulari dedicati. «Quando il cerchio ha iniziato a stringersi, la Dama ha ordinato di ‘ripulire’ l’auto», si legge nel verbale dell’inchiesta. Un tentativo inutile: i carabinieri avevano appena disinstallato il Gps segreto, incastrando così definitivamente la banda.
Gli arrestati sono accusati di spaccio di sostanze stupefacenti, detenzione ai fini di spaccio e favoreggiamento. Una rete radicata e pericolosa che ha messo radici nei quartieri più fragili della Capitale e nei Comuni dell’hinterland, alimentando dipendenze e seminando morte.