
Rallenta l’inflazione, il costo per la spesa sale del 2,3%
L’Italia si conferma tra i Paesi europei con l’inflazione più bassa, ma anche tra quelli con la pressione fiscale più alta. L’Istat ha registrato a ottobre una «sensibile decelerazione» dei prezzi al consumo: -0,3% rispetto a settembre e +1,2% su base annua, contro l’1,6% del mese precedente. Nell’Eurozona, invece, il dato tendenziale è del +2,1%, segno che il nostro Paese continua a muoversi in un contesto di maggiore stabilità dei prezzi rispetto alla media continentale.
A rallentare ulteriormente l’aumento del costo della vita sono soprattutto i beni del carrello della spesa, che a ottobre crescono del +2,3% contro il +3,1% di settembre. Tuttavia, alcune voci restano ancora in forte rialzo: il cacao e il cioccolato in polvere segnano un +21,8% e il caffè +21,1% su base annua. A frenare il carovita contribuiscono invece gli energetici regolamentati (dal +13,9% al -0,8%) e gli alimentari non lavorati (dal +4,8% all’1,9%).
«Quando siamo giunti al governo il carovita era all’11,8%, oggi è all’1 virgola», ha dichiarato Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, commentando i dati Istat. L’inflazione acquisita per il 2025 si attesta all’1,6%, mentre la componente di fondo resta al 2%.
Ma accanto ai segnali positivi sull’inflazione, la pressione fiscale continua a crescere. Secondo i dati Eurostat, nel 2024 il rapporto tra imposte, contributi sociali e Pil nell’Unione Europea ha toccato il 40,4% (+0,5 punti rispetto al 2023), mentre nell’Eurozona si è attestato al 40,9%. L’Italia si colloca al sesto posto in Europa, con un peso fiscale salito dal 41,4% al 42,6%, il nono incremento più consistente tra i 27 Stati membri.
Nel dettaglio, il gettito complessivo dell’Unione Europea ha raggiunto 7.281 miliardi di euro, in aumento di 387 miliardi rispetto all’anno precedente. In Italia, l’aumento del prelievo fiscale e previdenziale si accompagna però a una crescita economica più debole, con il Pil in rallentamento dal +1% del 2023 al +0,7% nel 2024.
I dati mostrano un quadro variegato: le maggiori crescite del rapporto tasse/Pil si registrano a Malta (+2,6 punti), Lettonia (+2,5), Slovenia (+2) e Croazia (+1,7). Al contrario, solo cinque Paesi hanno ridotto la pressione fiscale: Francia, Svezia, Finlandia, Paesi Bassi e Portogallo.
Il governo italiano ha tuttavia respinto l’idea di un «aumento generalizzato della pressione fiscale», spiegando che l’incremento dipende da una «ridistribuzione tra contribuenti» e «dall’aumento dell’occupazione». Un ruolo significativo è stato giocato anche dal combinato di inflazione e bassa crescita, che ha compresso il potere d’acquisto delle famiglie.
Negli ultimi anni, il carovita cumulato tra 2021 e 2023 è stato del 14,2%, superiore alla crescita del Pil e agli incrementi salariali. Tuttavia, come ha riconosciuto anche la Banca Centrale Europea, le misure adottate dall’esecutivo — dalla riduzione strutturale delle aliquote Irpef (da quattro a tre), al taglio del cuneo fiscale, fino alle maggiori detrazioni sociali — hanno contribuito a mitigare il fiscal drag, favorendo in particolare i redditi medio-bassi.
L’Italia, insomma, rallenta sul fronte dei prezzi ma resta tra i Paesi europei dove il peso delle tasse sul reddito e sul lavoro continua a essere tra i più elevati, in un equilibrio ancora fragile tra crescita, occupazione e potere d’acquisto.