
Meloni contro la Flotilla: “Mettete a rischio il possibile accordo di pace”

Un episodio che mette alla prova equilibri diplomatici e umanitari. Nella notte la Global Sumud Flotilla — circa 45 imbarcazioni con oltre 500 persone a bordo — ha proseguito la rotta verso le coste di Gaza nonostante gli alert della Marina italiana, le pressioni diplomatiche e l’annuncio di Israele di un possibile intervento militare. L’azione ha trasformato in poche ore un convoglio di aiuti in un banco di prova per i governi e le istituzioni: da un lato la richiesta di consegne sicure e coordinate, dall’altro la determinazione degli attivisti a rivendicare il diritto al passaggio umanitario. Sullo sfondo, il timore che un episodio isolato possa far saltare un fragile piano di pace.
La decisione della Flotilla ha innescato un duro confronto con il governo italiano. La premier Giorgia Meloni ha messo in guardia sui rischi per il piano di pace proposto dagli Stati Uniti, invitando gli attivisti a fermarsi: «Forzare il blocco può diventare un pretesto per impedire la pace. Con il piano per il Medio Oriente proposto dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump – ha spiegato Meloni ieri sera – si è finalmente aperta una speranza di accordo per porre fine alla guerra e alla sofferenza della popolazione civile palestinese e stabilizzare la regione. Questa speranza poggia su un equilibrio fragile, che in molti sarebbero felici di poter far saltare. Temo che un pretesto possa essere dato proprio dal tentativo della Flotilla di forzare il blocco navale israeliano. Anche per questo ritengo che la Flotilla dovrebbe fermarsi e accettare una delle diverse proposte avanzate per la consegna, in sicurezza, degli aiuti. Ogni altra scelta rischia di trasformarsi in un pretesto per impedire la pace, alimentare il conflitto e colpire così soprattutto quella popolazione di Gaza alla quale si dice di voler portare sollievo». Il governo ha intensificato i contatti diplomatici con Tel Aviv per cercare di evitare l’uso della forza contro cittadini italiani; il ministro degli Esteri ha seguito la vicenda «in continuo contatto» con le autorità israeliane. Dall’altro lato, gli attivisti definiscono paradossale l’accusa di pericolo e rivendicano la non violenza e la natura umanitaria del carico, sostenendo che «la popolazione di Gaza ha diritto agli aiuti garantiti dal diritto internazionale». Ma si levano da più parti molte perplessità circa l’effettiva volontà della Flotilla di effettuare un’operazione umanitaria. Anche la voce del Vaticano si è unita all’appello per la non violenza: «Speriamo non ci sia violenza e vengano rispettate tutte le persone».
Secondo quanto annunciato da Israele, è stato predisposto un piano di intervento che coinvolgerebbe unità di frontiera e forze speciali per fermare le navi e condurre i partecipanti ad Ashdod, con possibili espulsioni e procedimenti giudiziari per chi si opporrà. Le autorità israeliane hanno annunciato anche misure sanitarie e di sicurezza in porto, mentre gli attivisti denunciano ogni tentativo di intimidazione e bollano come «sabotaggio» gli alert che offrivano agli attivisti la possibilità di essere imbarcati e ricondotti via mare. Il rischio concreto, sottolineato dalle fonti militari, è di scontri sul mare e di un incidente che potrebbe avere conseguenze geopolitiche imprevedibili. «Potrebbero esserci conseguenze serie, prevalga la saggezza», ha detto il ministro della Giustizia, richiamando alla prudenza.
La vicenda mette in tensione principi giuridici e calcoli politici: la richiesta di libero accesso umanitario si scontra con la preoccupazione che un’azione unilaterale possa compromettere negoziati più ampi. La Turchia ha dichiarato la sua disponibilità a sostenere la Flotilla se necessario, mentre la diplomazia italiana cerca di mediare per evitare un’escalation. Resta aperta la questione di fondo: come conciliare la necessità di aiuti immediati con la gestione di un contesto militare e politico altamente volatile? L’esito dell’operazione in mare potrebbe determinare non solo il destino dei partecipanti e del carico, ma anche la tenuta stessa degli sforzi di pace in corso.