
Martina Scialdone: ergastolo per Costantino Bonaiuti, l’ex che l’ha uccisa

Martina Scialdone, giovane avvocatessa di 34 anni, è stata brutalmente assassinata il 13 gennaio 2023 dall’ex compagno Costantino Bonaiuti, un ingegnere di 63 anni. La prima Corte d’Assise di Roma ha condannato l’imputato all’ergastolo, con l’aggravante dell’isolamento diurno per 18 mesi. La sentenza ha accolto pienamente la tesi della Procura, secondo cui Bonaiuti ha premeditato l’omicidio, spinto da gelosia e rifiuto di accettare la fine della relazione. L’uomo aveva portato con sé una pistola semiautomatica Glock, ufficialmente detenuta per uso sportivo, con la quale ha sparato un colpo mortale a Martina davanti a un ristorante nel quartiere Tuscolano. Il delitto è stato aggravato dai futili motivi e dal legame affettivo tra i due, rendendo la condanna ancora più significativa.
Martina, spinta da un senso di colpa e dal timore di ferire Bonaiuti, aveva accettato di incontrarlo per un ultimo chiarimento. Tuttavia, questo gesto di altruismo le è stato fatale. Durante il processo, il sostituto procuratore Barbara Trotta ha evidenziato come la morbosa gelosia dell’imputato lo avesse portato a installare un dispositivo GPS sul cellulare della vittima, monitorandone ogni movimento. «Ciò che ha fatto deragliare Bonaiuti è stata la volontà di Martina di essere libera e di costruirsi una nuova vita», ha spiegato il PM. Nonostante le affermazioni dei difensori, che hanno tentato di derubricare il reato a omicidio colposo, i giudici hanno ritenuto solida la ricostruzione accusatoria, confermata anche dalla testimonianza del fratello della vittima, Lorenzo Scialdone.
Il processo ha visto momenti di intensa commozione, soprattutto durante le dichiarazioni di Lorenzo, testimone oculare del delitto. «Martina si è accasciata tra le mie braccia dopo essere stata colpita. Ho visto Bonaiuti fermo all’angolo della strada, con uno sguardo compiaciuto», ha raccontato. Nel corso del dibattimento, Bonaiuti ha chiesto perdono ai familiari della vittima, definendosi «un cadavere vivente», ma le sue parole non hanno convinto la Corte. Per la famiglia di Martina, la condanna rappresenta solo una parziale consolazione: il dolore per la perdita è incolmabile. Il caso ha riportato l’attenzione sul dramma della violenza di genere, sollevando interrogativi sulla necessità di maggiori strumenti per proteggere le donne vittime di relazioni tossiche e violente.