
L’empatia come antidoto alla violenza e alla discriminazione

In un mondo segnato da crescente violenza, disuguaglianze sociali e fenomeni di abuso, il concetto di empatia emerge come uno strumento fondamentale per invertire la rotta. Con l’esperienza di un percorso educativo e sociale che abbraccia il rispetto e la comprensione dell’altro, Cristina Di Silvio, esperta in pedagogia interculturale e relazioni sociali, ci racconta perché l’empatia sia l’elemento chiave per una società più giusta e inclusiva.
Qual è il ruolo dell’empatia in un contesto sociale che sta attraversando tante difficoltà?
L’empatia è senza dubbio uno degli strumenti più potenti e necessari in questo momento storico, un antidoto fondamentale alle violenze fisiche, psicologiche e sociali. Quando parliamo di empatia, intendiamo la capacità di comprendere e condividere le emozioni altrui. In un’epoca in cui la violenza sembra dilagare, l’empatia rappresenta l’opportunità di intervenire preventivamente, di educare e di fermare i conflitti prima che possano esplodere.
Purtroppo, però, parlare di empatia non significa automaticamente metterla in pratica. Il dato dell’UNICEF che riporta oltre un miliardo di bambini esposti a violenze ogni anno è allarmante. Così come il fatto che il 33% delle donne europee abbia subito abusi fisici o sessuali almeno una volta nella vita. Queste sono statistiche drammatiche, e l’empatia, se insegnata e praticata, sarebbe una forma di prevenzione fondamentale.
Recentemente, l’educazione all’empatia è stata introdotta in alcune scuole italiane. Che impatto ha avuto questo cambiamento?
Gli studi condotti nelle scuole italiane mostrano che l’inclusione dell’empatia nei programmi scolastici ha prodotto ottimi risultati, in particolare nel contrasto al bullismo. Gli studenti che sono stati coinvolti in percorsi di educazione empatica hanno mostrato una riduzione significativa degli episodi di bullismo, con una diminuzione del 27%. È evidente che l’empatia non solo arricchisce il dialogo tra gli studenti, ma promuove una cultura di collaborazione, comprensione e rispetto reciproco.
Qual è la situazione nei contesti più ampi, come nelle istituzioni pubbliche e nelle forze dell’ordine?
Le istituzioni e i servizi pubblici, come le forze dell’ordine e i servizi sanitari, sono fondamentali per trasmettere l’empatia come valore culturale. Tuttavia, nonostante i numerosi studi che dimostrano i benefici dell’empatia, solo pochi paesi europei hanno adottato programmi strutturati di formazione empatica per le loro forze dell’ordine, educatori e operatori sanitari. Questo è un punto dolente, perché le politiche pubbliche ancora troppo spesso si concentrano su soluzioni punitive anziché preventive.
Basti pensare che l’introduzione dell’empatia nei programmi di riabilitazione penale ha ridotto il tasso di recidiva fino al 35%. Questo dimostra che l’empatia non solo aiuta a prevenire i crimini, ma può essere decisiva anche nel processo di recupero dei detenuti, come confermato dagli studi nel campo della giustizia penale.
In che modo l’empatia può migliorare la convivenza in una società multietnica come quella italiana?
L’Italia è un paese sempre più multietnico, e l’empatia è il ponte che ci permette di costruire una società più inclusiva. Quando parliamo dell’altro, non dobbiamo vederlo come una minaccia, ma come un’opportunità di crescita reciproca. La cultura dell’empatia implica il riconoscimento che l’identità non è un muro da difendere, ma un ponte da costruire insieme agli altri. In questo processo, non solo accogliamo l’altro, ma impariamo anche di più su noi stessi.
Le scuole italiane stanno facendo passi avanti in questa direzione. In molte città come Milano, Torino e Napoli, le scuole promuovono progetti di educazione interculturale che coinvolgono studenti italiani e di origini straniere, creando uno spazio di dialogo. I risultati sono incoraggianti: il 40% degli studenti ha migliorato le proprie competenze relazionali, abbattendo barriere e aumentando il rispetto reciproco.
Pensa che l’empatia possa davvero portare a una società migliore?
Assolutamente sì. L’empatia, se coltivata quotidianamente, può cambiare radicalmente le dinamiche sociali. Come sociologo Zygmunt Bauman ha sottolineato, la nostra identità è liquida e in continua evoluzione. Ogni incontro con l’altro non ci allontana da chi siamo, ma ci avvicina a una comprensione più profonda di noi stessi. Quando impariamo ad ascoltare veramente, a comprendere il dolore dell’altro, a vedere il mondo con gli occhi dell’altro, diventiamo più umani, più consapevoli e più capaci di costruire una convivenza pacifica e rispettosa.
Il futuro passa sicuramente dall’ascolto e dalla valorizzazione della diversità. Se ognuno di noi, quotidianamente, scegliesse di uscire dal proprio ego per incontrare l’ego dell’altro, non ci sarebbe più bullismo, violenza, discriminazione. Non sarebbe più un ideale irraggiungibile, ma una realtà tangibile. Questo cambiamento culturale è alla portata di tutti: non è solo una questione di legge, ma di educazione e di impegno quotidiano per migliorare le relazioni umane.
Qual è il messaggio che vorrebbe lasciare ai lettori?
Il mio messaggio è semplice: l’empatia è una competenza che va coltivata. Ognuno di noi ha il potere di cambiare la società in cui vive, partendo dalle piccole azioni quotidiane. Se impariamo a guardare l’altro come un “altro io”, non solo possiamo prevenire la violenza e l’abuso, ma possiamo anche costruire un mondo migliore, dove l’umanità e la gentilezza prevalgono sull’indifferenza.