
La “cellula” dei pro-Hamas a Roma: raccolte fondi a Centocelle e canali occulti
L’inchiesta che ha recentemente scosso le fondamenta della sicurezza nazionale ha rivelato che la struttura operativa a sostegno di Hamas in Italia non limitava il proprio raggio d’azione ai soli poli di Genova e Milano. Roma emerge infatti come uno snodo vitale, una succursale pienamente attiva capace di coordinare flussi finanziari provenienti da tutto il Centro e Sud Italia. Il cuore pulsante di questa attività si trovava nel quartiere periferico di Centocelle, precisamente in via degli Aceri. In questo luogo, apparentemente anonimo, veniva centralizzata la raccolta della zakat, l’offerta rituale dei fedeli musulmani che, secondo la ricostruzione della Procura di Genova, veniva dirottata verso le casse dell’organizzazione palestinese invece di sostenere cause puramente umanitarie.
Le indagini hanno acceso i riflettori su figure di spicco che operavano nell’ombra della Capitale. Uno dei nomi centrali è quello di Mohammad Suleiman Mousa Ahmad, conosciuto con l’appellativo di Abu Omar. Sebbene non sia tra i soggetti colpiti dall’ordinanza di custodia cautelare eseguita negli ultimi giorni, il suo ruolo appare determinante agli occhi degli inquirenti. Come evidenziato dal gip del Tribunale di Genova, Silvia Carpanini, l’uomo «…è stato dipendente, in pianta stabile dal 2018 al 2023, della ABSPP ODV (Associazione benefica di solidarietà con il popolo palestinese) da cui risulta aver percepito redditi da lavoro dipendente…». Questa associazione è indicata dagli inquirenti come uno dei principali veicoli per il trasferimento di denaro verso esponenti di Hamas.
Il meccanismo di raccolta era meticoloso e capillare. Abu Omar non si limitava a gestire la sede di Centocelle, ma fungeva da referente per diverse città, tra cui Macerata, Perugia e Napoli. Le somme ottenute durante eventi pubblici e conferenze venivano convogliate nella sede romana non dichiarata, registrate digitalmente e poi trasferite fisicamente a Milano per essere messe sotto il controllo dei vertici dell’organizzazione. Secondo quanto emerso dalle intercettazioni, «...le somme raccolte nei vari eventi vengono concentrate presso la sede romana dell’associazione, mensilmente registrate su un prospetto digitale e successivamente consegnate a Sulaiman Hijazi…». Hijazi, avvocato, è considerato una figura chiave nell’inchiesta, al pari di Hannoun e Abu Omar.
Un episodio emblematico della capacità di infiltrazione della cellula è il tentativo di organizzare il cosiddetto Convoglio della pace per Gaza nel febbraio 2024. L’evento, programmato inizialmente presso una sala parrocchiale a San Lorenzo in Lucina, nel pieno centro storico di Roma, era stato pubblicizzato utilizzando l’IBAN di un ultramaratoneta italiano come paravento per le donazioni, nel tentativo di aggirare le restrizioni bancarie imposte dopo l’inserimento del capo della cellula, Mohammad Hannoun, nelle liste nere degli Stati Uniti. L’iniziativa fu fermata solo dall’intervento tempestivo del Vicariato.
L’inchiesta coinvolge anche il mondo dell’informazione, con la perquisizione di una giornalista, direttrice di una testata online. Secondo le tesi accusatorie, la giornalista avrebbe svolto attività di propaganda ricevendo finanziamenti stabili dall’associazione, spesso consegnati in contanti per evitare la tracciabilità. Durante le fasi concitate dell’indagine, alcuni esponenti del gruppo avrebbero cercato di metterla in guardia circa possibili perquisizioni, come dimostra lo scambio registrato dagli inquirenti: «...ti porti questo anche perché domani arrivano qui e portano tutto, eh!…». Queste dinamiche delineano un quadro complesso dove la beneficenza sarebbe stata usata come scudo per nascondere il sostegno logistico e finanziario all’organizzazione terroristica che governa con pugno di ferro a Gaza.
M.M.