
Generazione Z, l’altra dipendenza: social, videogiochi e scommesse
La Generazione Z è sempre più prigioniera dello schermo. Social network, videogiochi, scommesse online: la dipendenza digitale è diventata una delle emergenze più gravi tra i giovani italiani. Alla VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, tenutasi a Roma, esperti e istituzioni hanno lanciato un appello comune per riconoscere queste nuove forme di schiavitù come un problema sanitario a tutti gli effetti.
Secondo i dati raccolti dall’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche, il 60% dei bambini tra i 3 e i 4 anni usa quotidianamente dispositivi digitali, il 24% ha già un profilo social e oltre la metà – il 57% – manifesta irritabilità o rabbia quando viene disconnesso. «Stiamo crescendo una generazione di bambini digitalmente modificati», avverte Giuseppe Lavenia, presidente dell’associazione. «Non è il telefono a creare dipendenza, ma ciò che ci mettiamo dentro: gratificazioni immediate, identità virtuali e scrolling compulsivo che stimolano il cervello come una sostanza».
Dietro il semplice gesto di scorrere un feed, si nasconde un meccanismo di dipendenza psicologica complesso: notifiche, like e algoritmi creano una costante ricerca di approvazione. Gli esperti parlano di “sindrome da connessione continua”, una condizione che altera il sonno, riduce la concentrazione e compromette la capacità di costruire relazioni reali. Eppure, denuncia Samuele Aquilanti, cofondatore dell’associazione, «in Italia non esistono ancora centri pubblici riconosciuti per curare la dipendenza da tecnologia, nonostante centinaia di famiglie chiedano aiuto ogni mese».
L’allarme non riguarda solo i social network. Secondo la relazione Espad Italia 2025, il 17% degli studenti mostra un uso problematico dei videogiochi e il 13% scommette regolarmente online. «I videogiochi moderni assomigliano sempre più al gioco d’azzardo – spiega Claudia Mortali dell’Istituto Superiore di Sanità –. Lootbox, premi casuali e ricompense a sorpresa creano lo stesso meccanismo di attesa e gratificazione che alimenta la ludopatia». Un fenomeno che, se non intercettato in tempo, può degenerare in isolamento sociale e comportamenti compulsivi.
Secondo le associazioni di genitori, le famiglie sono spesso impreparate ad affrontare questo nuovo tipo di dipendenza. «I social catturano i figli con algoritmi persuasivi che li tengono connessi anche otto ore al giorno», denuncia Claudia Di Pasquale, presidente dell’Associazione Italiana Genitori, che insieme al Moige ha avviato una class action contro Meta per tutelare i minori. «I ragazzi instaurano legami con chatbot affettivi e si isolano dal mondo reale. È una catena invisibile che li porta alla solitudine e, nei casi più estremi, all’autolesionismo».
Il direttore generale del Moige, Antonio Affinita, sottolinea come il problema richieda risposte urgenti ma equilibrate: «Per la prima volta il governo riconosce le dipendenze digitali come un’emergenza accanto a quelle da sostanze. Ma servono percorsi educativi, non divieti. Gli algoritmi sono costruiti per creare dipendenza: dobbiamo insegnare ai ragazzi a difendersi».
Un messaggio condiviso anche da Papa Leone XIV, che in un recente videomessaggio ha parlato di «ossessione tecnologica che condiziona la vita degli adolescenti». La dipendenza digitale è silenziosa, invisibile, ma potente. E mentre smartphone e console diventano strumenti di fuga, il rischio è che una generazione intera impari a vivere attraverso uno schermo, confondendo il mondo reale con quello virtuale.