
Deficit sotto il 3%: l’Italia verso l’uscita dalla procedura UE
Una conferma attesa da settimane e che, per il governo, arriva nel momento più delicato. Le previsioni economiche d’autunno diffuse dalla Commissione europea indicano una schiarita sui conti pubblici italiani: il deficit 2025 si attesta al 3% del Pil, anzi leggermente sotto secondo i documenti tecnici, al 2,98%. Un decimale che potrebbe essere sufficiente per far uscire Roma dalla procedura per disavanzo eccessivo avviata nel 2024. «Se Eurostat certificherà questi valori, la procedura potrà essere chiusa già in primavera», ha spiegato il commissario all’Economia Valdis Dombrovskis, pur invitando alla prudenza finché non saranno chiariti i criteri interpretativi del nuovo Patto di stabilità.
Secondo le proiezioni Ue, il deficit italiano rimarrà stabilmente sotto la soglia del 3% anche nei prossimi anni: 2,8% nel 2026 e 2,6% nel 2027, in linea con i numeri inseriti nel Documento programmatico di bilancio. Una dinamica che distacca nettamente l’Italia da Germania e Francia, entrambe in difficoltà nel contenimento della spesa pubblica. Berlino è stimata al 3,1% quest’anno e addirittura al 4% nel 2026, mentre Parigi si mantiene ampiamente oltre il limite del Patto, con un disavanzo previsto al 5,5% nel 2025 e al 4,9% nel 2026.
La chiusura della procedura Ue non è però un fatto solo tecnico. Dal via libera della Commissione dipende la possibilità per l’Italia di attivare subito la clausola che permette di finanziare in deficit fino all’1,5% del Pil all’anno di spesa militare, misura chiave del piano europeo di riarmo sostenuto da Ursula von der Leyen. «Serve stabilità dei conti per garantire stabilità politica», osservano fonti Ue secondo cui la valutazione sul Dpb, attesa la prossima settimana, terrà conto anche del recente contributo richiesto a banche e assicurazioni.
Accanto ai segnali positivi sul deficit, arrivano però numeri meno confortanti sul debito pubblico e sul costo degli interessi. Complici gli effetti residui del Superbonus, il debito è in risalita: dal 136,4% del Pil nel 2025 al 137,9% nel 2026, per poi scendere lievemente al 137,2% nel 2027. Gli interessi passeranno da 87,9 a 91,6 miliardi, fino a raggiungere 96,6 miliardi nel 2027. Una zavorra che rischia di pesare sulle prossime manovre di bilancio.
Il vero tallone d’Achille resta però la crescita. L’Italia arranca più della maggior parte dei partner europei proprio mentre l’Ue e l’Eurozona accelerano oltre le attese. Dombrovskis parla di un «incremento modesto», sostenuto solo in parte dagli investimenti e dalle riforme del Pnrr. La crescita del Pil italiano per il 2025 è stata rivista allo 0,4% rispetto allo 0,7% stimato in primavera, per poi risalire allo 0,8% sia nel 2026 sia nel 2027. Numeri che confermano il Paese come fanalino di coda dell’Unione. «Pesano la prudenza delle famiglie nei consumi e l’aumento dei risparmi precauzionali», chiarisce il commissario.
Molto diverso il quadro in altri Stati membri: la Spagna registra un +2,9%, più del doppio della media europea, mentre l’Irlanda tocca addirittura il +10,7%, trainata dalle esportazioni farmaceutiche in attesa dei nuovi dazi statunitensi. Nell’Unione a 27, la crescita complessiva si attesta all’1,4% per 2025 e 2026, per poi salire all’1,5% nel 2027.
Una fotografia che consegna all’Italia un mix di luci e ombre: conti pubblici più solidi, ma un’economia che continua a procedere a passo lento. Con la speranza che la primavera possa portare la tanto attesa uscita dalla procedura Ue.