
Crisi idrica in Italia, il Governo un maxi piano da un miliardo di euro
Quasi un miliardo in dieci anni per affrontare, finalmente in modo strutturale, la crisi idrica che da anni penalizza territori, imprese e famiglie. È questo il cuore del nuovo Dpcm che il governo si prepara a varare, un piano di lungo periodo che – confermano fonti dell’esecutivo al Messaggero – rappresenta un passo decisivo verso una strategia nazionale dell’acqua. «Serve uscire dalla logica dell’emergenza», ripetono da Palazzo Chigi, dove il decreto è in fase di rifinitura dopo la verifica tecnica del ministero dell’Economia.
Il decreto è frutto del lavoro del Commissario straordinario nazionale per la scarsità idrica, Nicola Dell’Acqua, che negli ultimi mesi ha coordinato una ricognizione approfondita insieme alle Autorità di bacino. Un’analisi che ha permesso di individuare priorità, criticità e aree maggiormente colpite dalla siccità. Il fondo – 980 milioni da programmare tra il 2027 e il 2036, circa 100 milioni l’anno – sarà gestito direttamente dalla presidenza del Consiglio, con una destinazione riservata esclusivamente a opere idriche strategiche.
La ripartizione delle risorse segue tre criteri: severità idrica, popolazione e estensione dei distretti idrografici. Il risultato è una geografia degli investimenti che assegna oltre 300 milioni all’Appennino meridionale, 196 milioni all’Appennino centrale, 221 milioni al distretto del Po, 82 milioni alla Sicilia, 56 milioni alla Sardegna, 78 milioni all’Appennino settentrionale e 40 milioni alle Alpi orientali.
Gli interventi previsti saranno quaranta. Tra i più rilevanti, la manutenzione degli acquedotti Coghinas 1 e 2 in Sardegna, il recupero dell’invaso del Camastra in Basilicata, il completamento dello schema idrico di Montedoglio, il collegamento Biferno-Fortore tra Molise e Puglia, e lavori sugli invasi siciliani Garcia, Comunelli e Nicoletti. Non solo: si punta sull’ammodernamento degli impianti irrigui e sulla creazione di interconnessioni tra schemi idrici per garantire sia uso potabile sia irriguo, un cambiamento di mentalità rispetto alla gestione frammentata del passato.
Secondo il ministero dell’Ambiente, gli effetti saranno significativi: recupero di oltre 25 milioni di metri cubi d’acqua all’anno grazie alla riduzione delle perdite, incremento della disponibilità di 950 litri al secondo, recupero di più di 536 milioni di metri cubi di volumi immagazzinabili. Il miglioramento del servizio idropotabile coinvolgerà circa 7 milioni di cittadini e dovrebbe aumentare anche la superficie irrigabile di 134.000 ettari, con benefici diretti per l’agricoltura e la sicurezza alimentare.
Elemento centrale sarà la continuità. Il piano si basa sul rafforzamento degli osservatori permanenti sugli utilizzi idrici, strumenti introdotti per monitorare dati e livelli di criticità in tempo reale. «La programmazione deve essere stabile, non emergenziale», ribadisce il gruppo tecnico che ha seguito il dossier.
Questo Dpcm rappresenta anche un passaggio di consegne cruciale: il mandato del commissario Dell’Acqua scadrà a fine dicembre e non è chiaro se sarà rinnovato. Se così non fosse, il suo successore erediterà però un quadro già definito di risorse e priorità. Non solo: Dell’Acqua è considerato tra i favoriti per la nuova presidenza dell’Arera, l’Autorità per energia, rifiuti e acqua, che proprio in questi mesi si prepara a cambiare vertici.
Il piano idrico, dunque, non è solo un intervento infrastrutturale, ma un tentativo di imprimere un cambio di rotta culturale e istituzionale nella gestione dell’acqua, risorsa sempre più fragile in un Paese che ogni anno disperde oltre il 40% della potabile lungo le reti.