
Clan Senese, 11 anni a Michele ‘O Pazzo: continuava a comandare dal carcere

Michele Senese, noto come ‘O Pazzo, è stato condannato a 11 anni di carcere con l’aggravante mafiosa dalla Terza Sezione della Corte d’Appello di Roma. La sentenza arriva nel processo bis nato dall’inchiesta “Affari di Famiglia” della Dda capitolina, che ha svelato come il boss continuasse a gestire le attività criminali del clan anche dal carcere. Senese, recluso dal 2014, impartiva direttive attraverso messaggi nascosti nei “pizzini” e scambiati con la moglie Raffaella Gaglione e il figlio Vincenzo durante i colloqui. Tra i metodi utilizzati per comunicare c’era persino lo scambio di scarpe, con i messaggi celati all’interno. Nel 2017, Vincenzo Senese è stato fotografato mentre usciva dal carcere di Oristano con ai piedi le scarpe nere del padre, dopo essere entrato con un paio marrone. Oltre a Michele, condannato a 11 anni, la moglie ha ricevuto una pena di 5 anni, il figlio Vincenzo 13 anni e il fratello Angelo 6 anni e mezzo.
La sentenza segna una nuova svolta nel percorso giudiziario del clan. Nel primo processo d’appello, Senese era stato assolto e l’aggravante mafiosa era stata esclusa, ma la Cassazione, nel febbraio scorso, aveva annullato quella decisione. Le accuse mosse al boss e ai suoi familiari vanno dall’estorsione all’usura, fino al riciclaggio. La maxi-operazione della Dda, risalente al 2020, aveva portato all’arresto di 26 persone, facendo luce sulle dinamiche di comando di Senese, considerato uno dei principali boss della criminalità romana. In passato, era già stato condannato a 30 anni per l’omicidio di Giuseppe Carlino, avvenuto nel 2001 a Torvaianica. Gli investigatori hanno ricostruito una rete criminale estesa, che operava anche dopo l’arresto di Senese, con il figlio Vincenzo a mantenere il controllo diretto delle attività illecite.
Uno dei punti centrali dell’inchiesta è stato il riciclaggio di denaro sporco, derivato da usura e narcotraffico. Attraverso società fittizie e investimenti, il clan ripuliva il denaro destinandolo a diversi settori, tra cui il commercio all’ingrosso di abbigliamento a Frosinone e Verona, e la ristorazione a Roma. Parte del capitale veniva trasferita in Svizzera per finanziare attività imprenditoriali di una società milanese. Durante l’operazione, erano stati sequestrati beni per milioni di euro, tra cui immobili, quote societarie e locali commerciali, evidenziando la capacità del clan di infiltrarsi in settori apparentemente legali per consolidare il proprio potere economico e criminale.