
Blitz sul referendum giustizia: il Governo vuole giocare d’anticipo
Un blitz politico, studiato per spiazzare le opposizioni e ribaltare il terreno di scontro sul tema più divisivo della legislatura: la riforma della giustizia. È questo, secondo fonti di governo, il piano che la premier Giorgia Meloni e il ministro della Giustizia Carlo Nordio starebbero mettendo a punto per anticipare la campagna referendaria sulla separazione delle carriere tra giudici e pm, cavallo di battaglia storico del centrodestra. L’obiettivo: portare gli italiani alle urne prima che le opposizioni possano organizzarsi, trasformando la consultazione in un plebiscito politico a pochi mesi dalle elezioni del 2026.
Il disegno è chiaro. Come spiegano fonti vicine a Palazzo Chigi, basterebbe l’iniziativa di un quinto dei membri di una Camera per formalizzare la richiesta di referendum, senza attendere i tempi canonici. «Giocare d’anticipo può funzionare», avrebbe confidato Nordio ai suoi, convinto che un referendum “proattivo” rafforzi la narrazione del governo come motore del cambiamento. Meloni, d’altronde, ha più volte ribadito che «la riforma della giustizia non è un fardello da sopportare, ma un’opportunità per rimettere ordine nel Paese».
Giovedì arriverà il via libera definitivo al Senato, seguito da una pubblicazione in Gazzetta Ufficiale che darà il via al conto alla rovescia. Intorno a via Arenula e Palazzo Chigi si stanno già organizzando vertici e riunioni operative per calibrare la strategia comunicativa e definire un quesito referendario semplice e popolare, capace di parlare al sentimento diffuso degli italiani verso un sistema giudiziario percepito come lento e inefficiente.
La parola d’ordine nel centrodestra è una: spiegare la riforma, non subirla. Gli uffici legislativi del ministero sono al lavoro su una domanda diretta, che tocchi i nervi scoperti dell’opinione pubblica: le correnti delle toghe, la mancanza di responsabilità per gli errori giudiziari, le lungaggini dei processi. «Chiederemo agli italiani se sono soddisfatti della giustizia che hanno», spiegano fonti interne al dicastero.
Parallelamente, si prepara una mobilitazione capillare. Decine di comitati per il “sì” nasceranno già la prossima settimana in tutta Italia. L’obiettivo non è solo organizzativo: ogni comitato garantirà minuti preziosi nei talk show e nei dibattiti televisivi, sfruttando la par condicio come cassa di risonanza per il messaggio del governo.
Sul piano istituzionale, restano però dubbi significativi. La giurisprudenza costituzionale non è univoca sulla possibilità di attivare il referendum prima dei novanta giorni previsti dalla legge dopo la pubblicazione della riforma. Precedenti illustri — come quelli di Amato nel 2001 e Renzi nel 2016 — suggeriscono prudenza, ma il messaggio politico di Meloni sembra prevalere su ogni cautela: «La conta sulla giustizia la vogliamo e la vogliamo subito».
In risposta, la sinistra si prepara al contrattacco: comitati del “no” già registrati da notai e raccolte firme per i 500mila sostenitori necessari. Una partita destinata a infiammare il dibattito pubblico nei prossimi mesi, con la premier decisa a trasformare la riforma simbolo di Silvio Berlusconi in un test di consenso personale e di leadership.