
Scuole occupate a Roma, l’allarme dei presidi: «Basta devastazioni»
«Basta occupazioni». È un appello netto, carico di esasperazione, quello lanciato dai dirigenti scolastici di Roma e del Lazio, che hanno scritto una lettera al sindaco Roberto Gualtieri e al prefetto Lamberto Giannini per denunciare una situazione che, a loro giudizio, ha ormai superato ogni limite. L’iniziativa arriva dopo una stagione di occupazioni senza precedenti: oltre 30 istituti coinvolti, centinaia di migliaia di euro di danni materiali, giorni – in alcuni casi settimane – di lezioni perse e un clima di tensione che ha inciso profondamente sulla vita scolastica.
A firmare la lettera sono i rappresentanti dell’Associazione nazionale presidi di Roma e del Lazio, Mario Rusconi e Cristina Costarelli. «Da anni assistiamo, impotenti, a un rito diseducativo e vandalico», scrivono i dirigenti, parlando di «agguerrite minoranze di studenti» che occupano le scuole rivendicando temi di attualità nazionale o internazionale, ma ottenendo come unico risultato «enormi danni agli edifici scolastici», che finiscono per gravare sulle casse pubbliche e quindi sui cittadini.
Secondo i presidi, però, il danno più grave non è solo economico. «Quello maggiore è il danno formativo», sottolineano, riferendosi all’interruzione prolungata della didattica curricolare che colpisce soprattutto gli studenti più fragili, quelli che avrebbero maggiore bisogno di continuità educativa. Le cifre parlano da sole: solo al liceo Carducci i danni sono stati quantificati in oltre 100 mila euro. A questi si aggiungono i 50 mila euro del Pacinotti-Archimede e del Virgilio, i 20 mila euro del plesso Morante dell’Ipseoa Tor Carbone, i 5 mila euro dell’Aristofane e i 3 mila euro del Manara. Quasi 230 mila euro complessivi per appena sei scuole.
«Assistiamo impotenti a queste devastazioni», commenta Rusconi, evidenziando come il conto finale finisca inevitabilmente sulle spalle delle amministrazioni proprietarie degli edifici – Comune e Città metropolitana – e quindi dell’intera collettività.
Nella lettera ai vertici istituzionali, i presidi avanzano due richieste principali. Da un lato chiedono di potenziare gli spazi formativi extracurricolari, per offrire ai giovani alternative concrete di partecipazione e confronto, valorizzando talenti e interessi attraverso attività sul territorio. Dall’altro, sollecitano il prefetto a promuovere un tavolo di confronto che coinvolga tutte le parti, studenti compresi, per chiarire gli aspetti giuridici e legali delle occupazioni.
Il nodo centrale resta quello delle responsabilità: «Alla fine delle occupazioni non si sa mai come coinvolgere nei risarcimenti coloro che hanno procurato danni e devastazioni, perché spesso non vengono identificati», scrivono i dirigenti. L’obiettivo dichiarato è duplice: dialogo e coinvolgimento dei giovani, ma anche individuazione chiara dei responsabili e richiesta del pagamento dei danni.
Il clima resta teso in diversi licei della Capitale. Al Giulio Cesare, dove l’occupazione si è conclusa venerdì scorso dopo la comparsa di una seconda “lista stupri”, il collegio dei docenti ha deliberato il 5 in condotta per gli studenti che saranno riconosciuti come partecipanti all’occupazione. Una misura che, come ha precisato la dirigente Paola Senesi, «sarà valutata nelle sedi competenti». Lo stop ai viaggi di istruzione è invece motivato dalla rottura del rapporto di fiducia e del Patto educativo di corresponsabilità.
Situazione delicata anche al liceo Righi, dove all’occupazione di ottobre, durata 15 giorni, sono seguite nuove proteste. Qui un gruppo di genitori ha dato vita all’associazione Aria, denunciando «una deriva violenta di una minoranza che impone il proprio punto di vista sulla maggioranza degli studenti». «Noi vogliamo riportare al centro la didattica, per il futuro di questi ragazzi», spiegano. Le occupazioni, dalle motivazioni spesso inconsistenti pretestuose, sono infatti condotte da piccole minoranze che impongono la loro volontà alla massa degli studenti, che magari vorrebbe andare a scuola per imparare qualcosa, non per fare bisboccia e spaccare aule e arredi.
M.M.