
Il discorso di fine anno di Leone XIV alla Curia punta su unità e armonia
Il grande obiettivo del pontificato di Leone XIV è restituire armonia alla Curia romana, archiviando definitivamente la stagione delle divisioni interne, dei sospetti e delle contrapposizioni sotterranee. Un intento che il Papa americano ha voluto dichiarare apertamente nel suo discorso di fine anno rivolto a vescovi, monsignori e cardinali impegnati a vario titolo nell’amministrazione vaticana, scegliendo una chiave tanto semplice quanto spiazzante: «È possibile essere amici nella Curia romana?».
La domanda è rimasta sospesa, senza una risposta immediata. Non era quello il momento delle conclusioni, ma piuttosto dell’esame di coscienza. Un invito a interrogarsi sui rapporti umani all’interno della macchina curiale, spesso segnati da diffidenze e rivalità. Nel Palazzo Apostolico, mentre il Pontefice leggeva il suo lungo intervento, il messaggio diventava sempre più chiaro: la riforma della Chiesa passa anche – e soprattutto – dal clima che si respira nel suo cuore amministrativo.
«Abbiamo bisogno di una Curia Romana sempre più missionaria, dove le istituzioni, gli uffici e le mansioni siano pensati guardando alle grandi sfide ecclesiali, pastorali e sociali di oggi e non solo per garantire l’ordinaria amministrazione», ha spiegato Leone XIV, lasciando intendere che la credibilità della Chiesa nel mondo nasce dall’esempio che essa stessa riesce a dare al proprio interno.
Il Papa non ha evitato di toccare nervi scoperti. Con parole misurate ma incisive ha denunciato dinamiche che continuano a minare la comunione: «Dietro un’apparente tranquillità si agitano talvolta i fantasmi della divisione». E ancora, con evidente amarezza, ha fatto riferimento a «dinamiche legate all’esercizio del potere, alla smania del primeggiare, alla cura dei propri interessi», che faticano a essere superate.
Il confronto con il passato è inevitabile. I discorsi di fine anno di Papa Francesco alla Curia erano diventati celebri per il tono severo e per le “strigliate” pubbliche, culminate nell’elenco delle quindici “infermità spirituali” che avevano colpito duramente l’establishment vaticano. Leone XIV ha scelto una strada diversa. Pur parlando con franchezza, il suo stile punta alla riconciliazione, alla costruzione di legami, al disinnesco dei conflitti.
Il fulcro del suo ragionamento è stato il valore dell’amicizia e della fiducia reciproca. «Possiamo fidarci – ha detto – quando cadono maschere e sotterfugi, quando le persone non vengono usate e scavalcate, quando ci si aiuta a vicenda e si riconosce a ciascuno il proprio valore e la propria competenza, evitando di generare insoddisfazioni e rancori». Un passaggio che ha toccato da vicino molti dei presenti, chiamati a ripensare il proprio modo di vivere ruoli e responsabilità.
L’orizzonte indicato dal Pontefice è ampio e ambizioso. «Non siamo piccoli giardinieri intenti a curare il proprio orto – ha affermato – ma discepoli e testimoni del Regno di Dio, chiamati a essere lievito di fraternità universale». Un compito che può essere credibile solo se, per primi, i membri della Curia vivono come fratelli.
Il tema dell’unità, emerso già durante le Congregazioni generali che hanno preceduto il Conclave, si conferma così uno dei pilastri del pontificato di Leone XIV. «La comunione nella Chiesa rimane sempre una sfida che ci chiama alla conversione», ha ricordato, mettendo in guardia dal rischio di due estremi opposti: uniformare tutto cancellando le differenze o esasperare le diversità fino alla contrapposizione ideologica, anche sui temi più delicati della fede, della liturgia e della morale.
Al termine dell’incontro, il Papa ha voluto donare ai presenti un libro di meditazioni, ricalcando un gesto caro al suo predecessore. Un omaggio accompagnato dal ricordo di Papa Francesco, «il mio amato predecessore», che con «la sua voce profetica e il suo stile pastorale» ha riportato al centro della vita ecclesiale la misericordia di Dio.
Il sogno di Leone XIV resta quello di una Chiesa capace di vivere nella comunione e di non cedere alla logica della divisione, diventando «un segno in un mondo ferito da discordie, violenze e conflitti». Un mondo, ha concluso, segnato «da una crescita di aggressività e di rabbia, spesso alimentate dal digitale e dalla politica». Proprio per questo, la testimonianza di unità all’interno della Chiesa diventa oggi più che mai una responsabilità storica.