
Ad Atreju il confronto sul referendum giustizia col ministro Nordio
Un confronto acceso ma dai toni moderati. È la fotografia del primo grande dibattito pubblico sulla riforma della giustizia e sul referendum che la accompagnerà, andato in scena sul palco di Atreju. Un confronto che, se mantenesse questo livello fino al voto, rappresenterebbe un segnale di maturità per la politica italiana, spesso intrappolata in argomenti urlati e polarizzazioni sterili nonostante il contesto internazionale infuocato.
Sul palco si sono trovati in sette: quattro i sostenitori del Sì – il ministro Carlo Nordio, Antonio Di Pietro, il senatore meloniano Alberto Balboni e il giurista Sabino Cassese – e tre quelli del No – Debora Serracchiani del Pd, il costituzionalista Gaetano Azzariti e la giudice Silvia Albano, segretaria di Magistratura democratica, nota per la sentenza con cui ha bocciato il trattenimento dei migranti in Albania. La sua presenza è stata accolta con curiosità dal pubblico: nessun fischio, nessuna ostilità, persino qualche battuta, a cui lei ha risposto con calma. «Un giudice è un giudice», ha detto con un sorriso.
È stato Nordio a pronunciare le parole più dure, pur mantenendo un tono pacato. «Provo disgusto per quei magistrati che evocano la P2 parlando della separazione delle carriere», ha affermato, criticando quella che ha definito una «miseria argomentativa». Il ministro ha ricordato come nel programma della loggia figurasse la riduzione dei parlamentari, «cosa fatta dal governo grillino senza che nessuno parlasse di piduisti». Il pubblico ha applaudito, ma senza eccessi.
Gli affondi non sono mancati. Balboni ha accusato Serracchiani di aver sostenuto in passato la separazione delle carriere, mentre la deputata dem ha ribattuto denunciando il rischio di un indebolimento della magistratura e di un rafforzamento del potere politico. Albano ha difeso il ruolo delle correnti giudiziarie, definendole «gruppi associativi che servono a democratizzare il sistema», mentre Azzariti, con un approccio più tecnico, ha spiegato le ragioni del No.
Cassese, da parte sua, ha motivato il proprio Sì in modo netto: «Non deve esserci alcun legame tra chi accusa e chi giudica. Sono lavori diversi e non possono essere mescolati in un unico Csm». Di Pietro ha parlato della sua esperienza personale, da pm e da imputato, per sostenere la necessità di una riforma che eviti sovrapposizioni pericolose.
La politicizzazione, almeno in questa occasione, è sembrata attenuarsi. Nordio ha colto l’occasione per spiegare alcuni aspetti tecnici della riforma, ricordando che non è pensata per accelerare i processi e annunciando nuove assunzioni nella magistratura. Ha difeso il sorteggio per la composizione dei futuri Consigli superiori: «Saranno estratti a sorte magistrati già valutati più volte, non certo persone prese a caso». Albano ha insistito invece sulla questione dei precari degli uffici giudiziari, chiedendo il rinnovo dei contratti: un tema che, ha detto Nordio, «dipende dal Pnrr» e su cui il governo sta lavorando.
Al termine dell’incontro, il ministro ha commentato anche l’intesa raggiunta in Europa sui rimpatri e sulla definizione dei Paesi sicuri, giudicandola «risolutiva al 99%». Quanto alla data del referendum, ha indicato marzo come periodo probabile, pur precisando che la decisione non spetta al governo. Nel centrodestra c’è chi vorrebbe votare il prima possibile, e circola già la data del 29 marzo.
Il confronto di Atreju, per ora, ha mostrato che un dibattito sul tema più delicato della politica italiana può essere affrontato senza scontri verbali e con un ascolto reciproco raro negli ultimi anni. Quanto durerà, lo dirà la campagna elettorale.