
Povertà in crescita del 43% e salari in calo: il nuovo Rapporto Caritas
In Italia il costo della vita continua a crescere mentre i salari arretrano, e la povertà diventa un fenomeno strutturale. Lo conferma il ventinovesimo Rapporto Caritas su povertà ed esclusione sociale, intitolato “Fuori campo”, che fotografa un Paese dove le famiglie in povertà assoluta sono aumentate del 43,3% in dieci anni. Un dato che riflette un disagio profondo, reso ancora più evidente guardando ai numeri dell’Istat e alle migliaia di situazioni di vulnerabilità intercettate ogni anno dai Centri di Ascolto.
Nel solo 2024, la Caritas ha sostenuto 277.775 famiglie, con un incremento del 3% rispetto all’anno precedente e di oltre il 62% rispetto al 2014. Un aumento legato a un sistema di difficoltà “cumulativo e interconnesso”: chi entra nella spirale della povertà spesso deve affrontare simultaneamente mancanza di lavoro, perdita della casa, problemi di salute mentale, dipendenze, povertà educativa e condizioni di irregolarità migratoria. Non mancano i casi legati a ex-detenuti o vittime di sfruttamento, mentre tra le donne cresce il rischio di violenza domestica per mancanza di autonomia economica.
A pesare sono anche fattori esterni come il caro-prezzi e l’aumento del costo degli alimentari, cresciuti del 25% dal 2021 a oggi per effetto della guerra in Ucraina, delle speculazioni e degli eventi climatici estremi. Si aggiungono il caro bollette e la crescita impressionante del gioco d’azzardo, passato dai 35 miliardi del 2006 ai 157 miliardi del 2024.
Il rapporto affronta poi il nodo dei salari. L’Ocse certifica che i salari reali italiani sono ancora inferiori del 7,5% rispetto all’inizio del 2021, nonostante l’ultimo anno abbia registrato alcuni aumenti dovuti ai rinnovi contrattuali. Ma il quadro di lungo periodo è ancora più critico: tra il 1990 e il 2020 l’Italia è l’unico Paese Ocse dove i salari reali medi sono diminuiti, registrando un -2,9%. Parallelamente, i lavoratori a basso salario sono passati dal 25,9% al 32,2%. Le categorie più penalizzate sono i giovani tra i 16 e i 34 anni, le donne, i residenti nel Mezzogiorno e chi ha contratti part-time.
Nel rapporto si legge che «la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori italiani con redditi medio-bassi mostra un vistoso arretramento nella distribuzione globale dei redditi». Se alla fine degli anni Ottanta i redditi più bassi italiani avevano ancora un vantaggio relativo nel confronto internazionale, oggi si collocano appena al di sopra della metà della distribuzione salariale mondiale.
Il Rapporto Bes 2024 dell’Istat conferma un quadro in chiaroscuro: da un lato l’Italia resta tra i Paesi più longevi d’Europa, con un’aspettativa di vita alla nascita di 84,1 anni; dall’altro presenta condizioni economiche peggiori della media Ue. Il rischio povertà riguarda il 18,9% della popolazione, rispetto al 16,2% europeo. Pesano anche un tasso di occupazione fermo al 67,1% (8,7 punti sotto la media Ue) e un forte divario di genere: solo il 57,4% delle donne risulta occupato, contro il 70,8% europeo. Sul fronte dell’istruzione i dati sono altrettanto preoccupanti: solo il 31,6% dei giovani tra i 25 e i 34 anni è laureato, molto meno rispetto al 44,1% della media Ue.
Il divario patrimoniale è un altro segnale della crescente fragilità economica del Paese. Le analisi indicano che il patrimonio medio dei 50mila adulti più ricchi si è più che raddoppiato dagli anni Novanta, mentre quello dei 25 milioni più poveri si è ridotto di oltre tre volte, attestandosi a circa 7mila euro pro capite. Almeno 10 milioni di italiani hanno risparmi inferiori ai duemila euro, mentre i miliardari sono diventati 65.
Un Paese sempre più diseguale, dunque, dove la povertà non è più una condizione transitoria, ma una realtà che rischia di cronicizzarsi.