
La Bibbia di Borso d’Este torna a Roma: il capolavoro esposto al Senato
«Trovandomi davanti a quel singolarissimo monumento di bellezza e magnificenza, mi sentivo commosso fino alle lacrime». Così Giovanni Treccani ricordava l’emozione provata nel 1923 a Parigi, quando vide per la prima volta la Bibbia di Borso d’Este, uno dei capolavori più preziosi del Rinascimento italiano. Fu proprio Treccani, colpito dall’inestimabile valore dell’opera, a sottrarla alla dispersione internazionale e a riportarla nel nostro Paese. Oggi, a oltre un secolo da quel gesto e a cento anni dalla prima esposizione pubblica, il magnifico codice miniato torna eccezionalmente visibile a Roma, in una mostra che celebra la storia, l’arte e il patrimonio culturale italiano.
L’esposizione Et vidit Deus quod esset bonum – La Bibbia di Borso d’Este. Un capolavoro per il Giubileo aprirà domani nella sala capitolare della Biblioteca del Senato, e resterà visitabile fino al 16 gennaio. Un evento reso possibile da una collaborazione istituzionale d’eccezione: Senato, Presidenza del Consiglio, Ministero della Cultura, Gallerie Estensi, Commissario straordinario per il Giubileo e Treccani.
Non un luogo qualunque: proprio a Palazzo della Minerva, nel 1923, Treccani incontrò il ministro Giovanni Gentile e fu convinto ad acquistare il codice, salvandolo dal mercato estero. Qui fu firmata anche la donazione ufficiale.
La Bibbia, oggi custodita nelle Gallerie Estensi di Modena, è considerata la “Cappella Sistina dei libri”. «Dal vivo emana un’aura senza pari», afferma Alessandra Necci, direttore delle Gallerie. Commissionata da Borso d’Este, espressione della potenza politica e culturale della dinastia, fu realizzata tra il 1455 e il 1461 da un’équipe di maestri guidata da Taddeo Crivelli e Franco de’ Russi, con la calligrafia di Pietro Paolo Marone. Si tratta del libro più costoso del suo tempo, impreziosito da oltre mille miniature che uniscono gusto gotico e stile pienamente rinascimentale. Oro, lapislazzuli e pigmenti preziosi rendono ogni pagina un’opera unica. Straordinaria anche la componente iconografica: più di 1.450 animali, reali o fantastici, ritratti dal vero o ricostruiti da modelli provenienti da serragli e viaggi; episodi biblici, paesaggi, simboli araldici, scene di corte. Un universo figurativo che riflette l’amore degli Estensi per la caccia, la natura e la rappresentazione del potere.
Il codice, composto da due volumi, accompagnò Borso nel viaggio del 1471 a Roma per ottenere il titolo ducale da papa Paolo II. Era un manifesto politico, oltre che religioso, capace di testimoniare la ricchezza e la cultura della sua casata.
La storia del manoscritto attraversa secoli e dinastie: dagli Estensi agli Austria-Este fino all’esilio in Svizzera dell’arciduca Carlo I. Fu la vedova, Zita di Borbone-Parma, a tentare di venderlo tramite un antiquario parigino. Il governo italiano, avvertito da un mercante napoletano, chiese l’aiuto di Treccani, che lo acquistò per 3 milioni e 300mila franchi. Oggi, per garantirne la tutela, l’opera è esposta rispettando rigorosissimi protocolli conservativi e sarà richiuso al termine della mostra. «Alla tutela va affiancata la valorizzazione: questi capolavori devono essere conosciuti», spiega Necci, annunciando future iniziative divulgative. La mostra romana, frutto di una collaborazione istituzionale ampia e rara, vuole ricordare proprio questo: la cultura può unire, e il bello può agire come elemento di coesione nazionale.