
Cantieri a rischio per il caro-materiali: mancano 2,2 miliardi
Il motore delle opere pubbliche, che negli ultimi anni ha trainato Pil e investimenti, comincia a mostrare segni di rallentamento. Ritardi nei pagamenti, compensazioni mai arrivate e l’ennesima ondata di caro-materiali stanno creando una pressione crescente sulle imprese di costruzione, al punto da mettere a rischio migliaia di cantieri in tutto il Paese. È la fotografia emersa durante l’evento “Obiettivo Domani” organizzato dall’Ance, un appuntamento che ha riunito a Roma governo, autorità e rappresentanti del settore per fare il punto sulle criticità più urgenti.
Secondo i dati del Ministero delle Infrastrutture, le imprese devono ancora ricevere 1,7 miliardi di indennizzi già certificati relativi all’ultimo trimestre del 2024 e ai primi cinque mesi del 2025. Per coprire l’intero fabbisogno legato all’aumento dei costi nel biennio, tuttavia, mancherebbero 2,2 miliardi. Una cifra enorme, che rischia di tradursi in uno stop generalizzato: l’Ance stima che senza interventi rapidi a rischio ci siano 13 mila cantieri, di cui oltre 4.300 legati al Pnrr. Una situazione definita allarmante dalla presidente dell’associazione, Federica Brancaccio, che ha ricordato come «i tempi dei pagamenti stiano di nuovo iniziando a dilatarsi, mettendo sotto pressione la liquidità delle imprese».
Durante il convegno, esponenti dell’esecutivo come il vice ministro Edoardo Rixi e il segretario generale di Palazzo Chigi Carlo Deodato hanno anticipato che il governo sta lavorando a possibili soluzioni. L’ipotesi più concreta al momento è quella delle rimodulazioni: accantonare i progetti in ritardo e non ancora avviati, per concentrare risorse e sforzi su quelli già in corso, così da garantirne il completamento.
Un meccanismo utile per il futuro ma insufficiente a coprire l’arretrato. Per questo, spiegano fonti presenti al convegno, serviranno risorse aggiuntive nella prossima manovra economica. «Anche 250-300 milioni sarebbero sufficienti a dare ossigeno finanziario alle imprese», osservano fonti vicine ai costruttori. La decisione finale spetterà al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti.
Accanto al dossier materiali, il governo guarda anche al rilancio dell’edilizia residenziale. Il ministro Matteo Salvini ha rilanciato in Commissione ambiente il suo piano casa, basato sul modello del “rent to buy”: un sistema che permette alle famiglie a reddito medio-basso, ai giovani e ai genitori separati di affittare un’abitazione pagando una quota che fungerà da anticipo per il futuro riscatto. «L’obiettivo è fornire una soluzione abitativa stabile e sostenibile», ha spiegato Salvini, illustrando un progetto pensato per chi non può accedere ai mutui ma non rientra nelle categorie dell’edilizia popolare.
Federica Brancaccio ha accolto con favore il rinnovato interesse del governo per il settore, ma ha ribadito la necessità di una governance unica: «Non ci può essere frammentazione su un tema così complesso. Serve una regia che permetta al ceto medio di tornare ad accedere alla casa in un mercato dove i prezzi sono diventati insostenibili». Intanto Mario Valducci, presidente di Invimit Sgr, ha annunciato la creazione di un fondo casa sviluppato insieme al Mef, dedicato sia all’edilizia residenziale pubblica che a quella sociale, con canoni calmierati non superiori al 30% del reddito degli inquilini.
Tra caro materiali, cantieri a rischio e nuove politiche abitative, il settore delle costruzioni affronta una fase decisiva. La necessità di interventi rapidi è ormai un’urgenza condivisa da imprese e governo, con l’obiettivo di evitare che il rallentamento si trasformi in un freno strutturale per l’economia italiana.