
Muore dopo un intervento di routine: tre medici rinviati a giudizio
Doveva essere un intervento semplice, una normale operazione di routine per rimuovere una cisti benigna. Invece, per un 23enne si è trasformato in un dramma senza ritorno. Il giovane, originario di Itri, in provincia di Latina, è morto dopo due settimane di agonia in seguito a complicazioni sopraggiunte dopo un’operazione alla clinica Tiberia Hospital. Ieri, al termine dell’udienza preliminare, il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio per i tre medici che lo avevano operato, con l’accusa di omicidio colposo.
I fatti risalgono all’inizio di luglio di due anni fa. Il giovane si era rivolto alla clinica per la rimozione di una grossa cisti localizzata tra lo stomaco e i reni. L’intervento, previsto per il 6 luglio, era durato più del previsto, ma inizialmente sembrava essere andato a buon fine: il ragazzo si era risvegliato e appariva vigile. Poi, in serata, le sue condizioni sono precipitate improvvisamente. Trasferito d’urgenza al Policlinico Umberto I, vi è arrivato in condizioni già critiche. Nonostante i tentativi dei medici di salvarlo, è morto il 25 luglio, dopo 19 giorni di agonia, a causa di un’insufficienza multiorgano dovuta a una grave emorragia post-chirurgica seguita a una gastrectomia subtotale.
Secondo la Procura di Roma, i tre chirurghi avrebbero causato la morte del paziente per imperizia e negligenza, agendo in cooperazione colposa. Le indagini dei consulenti avrebbero evidenziato errori cruciali: durante l’intervento, i medici avrebbero reciso per errore un vaso pancreatico integro, applicando una sola clip sul lato distale e chiudendo inoltre l’arteria epatica. Non si sarebbero poi accorti tempestivamente dello shock emorragico che stava colpendo il giovane, riconoscendolo solo dopo tre ore, quando ormai la situazione era irreversibile.
La comunità di Itri, sconvolta dalla notizia, si era stretta attorno alla famiglia. Il sindaco aveva proclamato il lutto cittadino e i funerali erano stati partecipati da centinaia di persone. Durante l’omelia, don Riccardo Spignesi aveva ricordato il ragazzo come un esempio di forza e generosità, sottolineando che “per chi ha fede, oggi vive un’esperienza che ne sublima le qualità”. La famiglia, rappresentata dagli avvocati Salvatore Ruggieri e Giancarlo Di Biase, si è costituita parte civile e ha chiesto giustizia, determinata a far emergere la verità su quanto accaduto.
La Procura di Roma, dopo aver raccolto le cartelle cliniche, le testimonianze e i risultati dell’autopsia, ha concluso le indagini e chiesto il rinvio a giudizio. I tre medici, difesi dagli avvocati Francesco Caroleo Grimaldi, Paola Ragonesi e Valeria Raimondo, dovranno ora affrontare il processo, la cui prima udienza è fissata per giugno. Sarà il tribunale a stabilire se quella di Andrea sia stata una tragica fatalità o il risultato di errori evitabili durante un’operazione che, nelle intenzioni, doveva essere soltanto di routine.