
Vertice Ue a Bruxelles, Meloni: “Nessun soldato italiano in Ucraina”.

Una pace “giusta”, non fondata sulla sopraffazione, e il principio chiave secondo cui «nessuna decisione sull’Ucraina può essere presa senza l’Ucraina». Alla vigilia del Consiglio europeo di Bruxelles, Giorgia Meloni riafferma la posizione dell’Italia sulla guerra in corso, in un momento di forti tensioni diplomatiche e divergenze tra gli Stati membri.
Nel suo intervento al Senato prima della partenza per il vertice, la premier ha difeso la linea del governo e dell’Unione: «Putin ha gettato la maschera: non vuole la pace, pretende territori ucraini in cambio di una tregua». Meloni ha ricordato che «da novembre 2022 a oggi la Russia ha conquistato appena l’1% del territorio ucraino, pagando un prezzo altissimo in termini di uomini e mezzi», un dato che rafforza la convinzione di Roma nel mantenere la rotta su Kiev.
La premier ha escluso categoricamente qualsiasi invio di soldati italiani in Ucraina, chiarendo che l’Italia continuerà a contribuire «nella misura in cui riterrà necessario, insieme agli Stati Uniti e agli alleati, per garantire sicurezza e deterrenza». Un passaggio accolto con l’approvazione di Matteo Salvini, mentre Meloni ha sottolineato la mancanza di una linea unitaria nel fronte progressista: «Neanche nel cosiddetto campo largo esiste una posizione comune, visto che Italia Viva si dice favorevole all’invio delle truppe», ha ironizzato in Aula.
Al centro del confronto europeo resta la questione dei frozen assets, i beni russi congelati nei forzieri di Bruxelles, Londra e Ginevra. In gioco ci sono decine di miliardi di euro, e il dibattito è acceso su come e per cosa utilizzarli. Il cancelliere tedesco Friedrich Merz spinge per un impiego esclusivamente militare a sostegno di Kiev, mentre Italia e Irlanda chiedono di destinare parte delle risorse anche al funzionamento della macchina amministrativa ucraina.
Meloni ha espresso prudenza sui rischi giuridici e finanziari dell’operazione, che molti governi giudicano simile a un “esproprio”. In caso di ricorsi da parte di Mosca, le spese legali verrebbero ripartite tra gli Stati membri in base al reddito nazionale lordo — una prospettiva che non convince le grandi economie, Roma inclusa. Tra le ipotesi in discussione anche quella di mantenere congelati i beni fino alla fine del conflitto, senza rinnovi semestrali. Ma il consenso unanime resta lontano: il premier ungherese Viktor Orbán ha già manifestato la sua contrarietà, minacciando il veto.
Altro tema spinoso del vertice è la difesa europea. La Francia spinge per un “buy European” che favorisca l’industria militare interna, mentre l’Italia, insieme a Polonia, Paesi baltici e Olanda, chiede maggiore libertà di scelta, incluso l’acquisto di armamenti fuori dai confini europei, soprattutto negli Stati Uniti. Una posizione dettata non solo da motivi strategici, ma anche dalla dipendenza tecnologica dell’industria italiana dalla componentistica americana.
Non mancherà infine lo scontro sul clima. Meloni si prepara a chiedere un cambio di passo sulle politiche ambientali, difendendo la neutralità tecnologica e il ruolo del biofuel, settore di punta dell’Eni. «Basta con le follie verdi che fanno gioire i nostri concorrenti strategici, come la Cina», ha ammonito la premier, invocando un approccio più realistico che coniughi sostenibilità e competitività.
Il vertice di Bruxelles si preannuncia così come uno dei più complessi degli ultimi mesi: tra il sostegno all’Ucraina, la gestione delle risorse russe e le tensioni sulle politiche ambientali, Meloni prova a consolidare il ruolo dell’Italia come mediatore tra fermezza atlantica e pragmatismo europeo.