
Pasta e vino italiani nel mirino dei dazi USA: Farnesina al lavoro per evitarli

Abbassare i toni e puntare tutto sulla diplomazia. È questa la linea decisa ieri alla Farnesina per scongiurare l’introduzione dei dazi americani fino al 107% sulla pasta italiana a partire dal 2026. Una misura che metterebbe a rischio un mercato da oltre 700 milioni di euro e che nasce da un’indagine antidumping del Dipartimento del Commercio statunitense. Durante la riunione della task force sull’export, il Ministero degli Esteri ha invitato le aziende a collaborare pienamente con le autorità americane, chiedendo al contempo all’Unione Europea di sostenere la mediazione diplomatica.
La prima a muoversi è stata La Molisana, finita tra le imprese nel mirino di Washington insieme a Garofalo e Rummo. Dopo aver ipotizzato una delocalizzazione negli Stati Uniti, l’azienda ha subito fatto marcia indietro, probabilmente su impulso della Farnesina. Nei prossimi giorni sarà lo stesso Antonio Tajani a contattare direttamente l’amministrazione americana per tentare di allentare la tensione commerciale. Nel frattempo lavorano anche gli uffici dell’Ice, del Ministero dell’Agricoltura e della Commissione europea, che ha già confermato: «Seguiamo il dossier in stretto coordinamento con Roma e interverremo se necessario».
A Bruxelles precisano che un dazio del genere non rientra nell’accordo bilaterale Ue-Usa siglato in estate, che ha fissato un tetto del 15% sulle tariffe per i beni europei. Tuttavia, l’indagine statunitense segue procedure autonome e potrebbe richiedere mesi prima di concludersi. Per ora i pastifici italiani non registrano cancellazioni dagli ordini oltreoceano, ma la preoccupazione è alta. Rummo ha già annunciato ricorso, sostenendo che il dazio rischia di essere applicato retroattivamente anche al 2025. Anche La Molisana ha intrapreso la via giudiziaria: «È falso che non siamo stati collaborativi», ha dichiarato l’amministratore delegato Giuseppe Ferro.
Durante la stessa riunione, la Farnesina ha discusso anche della trattativa per ridurre il dazio del 15% su vino e alcolici. Secondo i dati dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly, i vini italiani generano negli Stati Uniti un giro d’affari da 10 miliardi di dollari, di cui 2,2 miliardi per i produttori italiani. Nei primi sette mesi del 2025 l’export ha tenuto rispetto al 2024, raggiungendo 1,1 miliardi di euro (+0,1%), ma — come avverte Matteo Zoppas (Ice) — «i volumi rallentano e i prezzi medi fanno fatica a reggere».
Intanto da Strasburgo arriva il via libera allo scudo europeo sull’acciaio, parte di un pacchetto industriale che dimezza le quote a dazio zero e raddoppia dal 25 al 50% le tariffe sui volumi restanti. Una misura simile a quella imposta dalla Casa Bianca per proteggere la produzione nazionale. Bruxelles e Washington stanno discutendo una possibile “alleanza siderurgica” per contrastare la sovrapproduzione cinese, che rappresenta oltre la metà dell’acciaio mondiale.
L’obiettivo, spiegano i commissari Maros Sefcovic e Stéphane Séjourné, è evitare che i metalli asiatici, bloccati negli Stati Uniti, si riversino in Europa. Tuttavia, il Regno Unito — che esporta l’80% dell’acciaio verso l’Ue — ha già espresso forte preoccupazione. Secondo Eurofer, la stretta potrebbe mettere a rischio 300mila posti di lavoro diretti e 2,3 milioni indiretti, segno che la guerra commerciale tra le due sponde dell’Atlantico è tutt’altro che conclusa.