
Global Sumud Flotilla, divisioni interne: la missione è in alto mare

Dopo il battage propagandistico, le polemiche, le iniziative di sostegno, gli scioperi, tutto il can-can mediatico, alla fine la Global Sumud Flotilla potrebbe non arrivare mai a Gaza. Con buona pace dei bambini palestinesi e delle presunte 45 tonnellate di carico umanitario che avrebbero dovuto essere consegnate.
Dopo la sosta in Grecia, le imbarcazioni si preparano all’ultimo tratto di navigazione, con l’arrivo previsto entro pochi giorni nell’area delle operazioni. Tuttavia, i ritardi accumulati a causa di incidenti, maltempo e attacchi hanno complicato la rotta. Una delle barche guida, la Family Boat, è stata colpita da un drone lo scorso 8 settembre mentre si trovava in acque tunisine, riportando danni all’albero maestro e allo stivaggio. A bordo si trovavano, tra gli altri, l’ex sindaca di Barcellona Ada Colau e l’attivista brasiliano Thiago Avila, costretti poi a trasferirsi su altre imbarcazioni.
Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha rivolto un appello affinché l’iniziativa mantenga il suo carattere umanitario, preservando la sicurezza dei partecipanti. Le sue parole sono state accolte con favore dai rappresentanti italiani. «Sono parole molto importanti, perché riconoscono il valore di una missione della società civile», hanno commentato il deputato Pd Arturo Scotto e l’europarlamentare Annalisa Corrado. Tuttavia, dal fronte della Flotilla emergono richieste più ampie: «Non chiediamo solo di far arrivare gli aiuti, ma di aprire un corridoio permanente e imporre sanzioni ed embargo sulle armi», ha spiegato una fonte interna.
Le difficoltà tecniche hanno accentuato le discussioni tra gli equipaggi e la dirigenza della missione. Alcuni attivisti hanno deciso di scendere a terra, preferendo sostenere l’iniziativa da fuori, mentre tra gli italiani restano soprattutto i parlamentari. Anche figure come il senatore del Movimento 5 Stelle Marco Croatti e l’europarlamentare di Avs Benedetta Scuderi hanno espresso dubbi sulla prosecuzione in mare. La portavoce italiana del Global Movement to Gaza, Maria Elena Delia, è già scesa a terra giorni fa ed è attesa in Italia per dialogare con le istituzioni.
Intanto, si discutono possibili strategie: alcuni propongono di sfiorare il blocco israeliano e sbarcare gli aiuti in Egitto per farli giungere a Rafah, nonostante il valico sia attualmente chiuso. Altri guardano a rotte alternative dal Libano o dalla Turchia, ma i rischi di uno scontro frontale con Israele restano elevati. C’è chi ipotizza che solo alcune imbarcazioni tenteranno realmente di forzare il blocco, mentre altre resteranno più defilate. In mare, però, le scelte possono cambiare all’improvviso e la tensione cresce di ora in ora. Ma è quantomeno paradossale che una presunta missione umanitaria, presentata come un’operazione per sfondare pacificamente il blocco navale israeliano, si divida e forse venga annullata di fronte all’ipotesi di sfondare quello stesso blocco: e tutti i proclami di queste settimane? Dispersi nel vento del Mediterraneo.