
Roma, smercio di capi falsi: rinvio a giudizio per commercianti e fornitori

Sugli scaffali dei negozi apparivano capi alla moda – magliette, polo, camicie, felpe – con marchi come Fred Perry, Giorgio Armani e Ralph Lauren. Per la Guardia di Finanza, però, molta di quella merce era contraffatta. La Procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio per dieci persone, tra commercianti e fornitori, ipotizzando ricettazione e commercio di prodotti falsi. Secondo gli inquirenti, dietro il flusso di capi ci sarebbe una struttura organizzata dedicata a produzione, distribuzione e vendita di quantità rilevanti di abbigliamento con marchi di fabbrica falsificati.
L’inchiesta nasce da due perquisizioni dell’aprile 2018: una in un negozio di abbigliamento maschile, l’altra in un box di stoccaggio dove una coppia avrebbe ammassato oltre mille pezzi tra magliette e camicie false. Da lì, intercettazioni e appostamenti hanno mappato nuovi depositi e canali di rifornimento ai dettaglianti. Nel 2019, in provincia di Modena, è stato fermato un uomo con oltre 10.000 targhette in stoffa riportanti il logo Arm-ani: il fascicolo è passato alla Procura di Bologna con l’ipotesi di contraffazione. Al centro, secondo gli atti, un uomo e una donna che proponevano stock “di ottima qualità” a prezzi competitivi.
Le telefonate captate ricostruiscono il meccanismo commerciale: il presunto referente contattava i negozianti offrendo i capi disponibili, usando codici come “Cavallino” (riconducibile al logo di Ralph Lauren) o “Fed” (per Fred Perry), per poi discutere colori, taglie e prezzi. Alcuni acquirenti, secondo la procura consapevoli della natura dei capi, lamentavano difetti: «Certe magliette mi capitano senza cavallino»; «Gli ho venduto a uno un maglione della Ralph, c’erano due L, una appiccicata all’altra». Il fornitore li richiamava alla realtà della filiera: «Non è che le prendiamo direttamente in azienda, sono stock. Qualche cosa c’hanno, può sfuggire una pecca, capisci a me…». Per gli investigatori, un indizio della coscienza del rischio lungo la catena.
Le difese rivendicano la buona fede dei negozianti, sostenendo che gli acquisti avvenissero con fatture regolari e che alcuni abbiano denunciato il presunto capofila dopo i sequestri. Uno dei legali spiega: «È una vicenda dai contorni opachi in cui il mio assistito, un rispettabile commerciante romano, si è ritrovato imputato per avere regolarmente acquistato, con tanto di fattura, capi poi risultati contraffatti». E aggiunge: «Gli inquirenti hanno da subito ipotizzato un’organizzazione per la produzione e commercializzazione di articoli contraffatti. Il mio cliente è estraneo: dopo il sequestro ha denunciato per truffa il fornitore che gli aveva venduto la merce».
Ora la parola passa al Gup: la richiesta di rinvio a giudizio cristallizza un impianto accusatorio fondato su sequestri, intercettazioni e tracce documentali. Resta da stabilire, caso per caso, il grado di consapevolezza degli acquirenti e la responsabilità penale lungo la filiera degli stock.