
Viterbo, uno dei turchi arrestati è ricercato per omicidio

Era ricercato per omicidio in Turchia uno dei due ventenni fermati a Viterbo la sera del Trasporto della Macchina di Santa Rosa. In Italia, al momento, Abdullah Atik e il connazionale Baris Kaya sono indagati “solo” per detenzione di armi, ma fonti internazionali li collegherebbero a reati ben più gravi. Secondo i media di Ankara, Atik sarebbe coinvolto nell’uccisione di Ahmet Cangi, avvenuta a Istanbul il 24 gennaio scorso in un agguato in moto nel distretto di Bahçelievler. Un delitto maturato nella faida tra le gang “Casperlar” e “Daltonair”, quest’ultima ritenuta legata a Baris Boyun, il boss turco arrestato nel maggio 2024 a Bagnaia con 17 sodali residenti nella Tuscia. Sempre da fonti estere, emergerebbe che i due giovani fossero finiti su un’attenzione Interpol: «La segnalazione internazionale indica per entrambi precedenti penali pesanti, inclusi omicidi e traffico d’armi».
Sul fronte italiano il quadro resta circoscritto al fascicolo per armi. L’avvocato Mario Angelelli, legale dei due ventenni, nega ogni collegamento con precedenti all’estero: «Ai fini del procedimento in Italia non risulta alcun reato a carico dei miei assistiti, né sul territorio nazionale né all’estero». Il difensore contesta anche la portata delle informazioni di stampa e delle note di cooperazione internazionale: «Le notizie diffuse dai media turchi e i riferimenti dell’Interpol non trovano riscontro negli atti italiani».
Ciononostante, gli inquirenti non escludono piste più ampie e hanno aperto accertamenti mirati per verificare la veridicità dei riscontri internazionali e ricostruire i movimenti dei due sul territorio. Per i media d’oltreconfine, l’ipotesi più estrema è che i fermati «volessero eliminare il boss rivale»; una tesi che, al momento, non ha riscontri giudiziari in Italia ma che contribuisce a definire un contesto di alta pericolosità.
Il lavoro investigativo si concentra su due direttrici. Da un lato, capire se Atik e Kaya siano criminali in fuga approdati temporaneamente in Italia; dall’altro, se la loro presenza sia legata esclusivamente alla detenzione delle armi che ha portato all’arresto. Per questo la polizia sta passando al setaccio b&b, affittacamere e appartamenti turistici: si controllano registri delle presenze, dati delle prenotazioni e comunicazioni alle questure, per individuare eventuali fiancheggiatori o supporto logistico.
Le telecamere del centro storico sono state acquisite per mappare spostamenti e incontri dei due almeno dieci giorni prima del fermo del 3 settembre: l’obiettivo è stabilire se abbiano ricevuto ospitalità, con chi si siano relazionati e se dietro la loro permanenza nella Tuscia vi sia una rete organizzata. Ogni dettaglio è sotto lente — movimenti sospetti, contatti telefonici, appunti, chat e comunicazioni — per comporre un quadro chiaro e completo della loro presenza in Italia e per verificare eventuali collegamenti con crimini commessi all’estero. Fino a prova contraria, il procedimento italiano resta circoscritto alle armi sequestrate; ma il dossier investigativo si espande, tra cooperazione internazionale e riscontri sul campo, per sciogliere il nodo centrale: caso isolato o tassello di una struttura criminale transnazionale? La polizia italiana continua ad indagare per cercare di mettere insieme tutti i tasselli di questo intricato puzzle.