
Affogò il bimbo appena nato nel water, nigeriana arrestata 7 mesi dopo

Un racconto lacunoso e ritenuto inverosimile dagli inquirenti non ha scagionato Jennifer Umeh, 29enne di origini nigeriane, finita in manette con l’accusa di omicidio del suo bambino. Il piccolo, nato vivo alla 26esima settimana di gestazione lo scorso 12 ottobre, sarebbe stato partorito nel bagno di un’abitazione di connazionali a Montecompatri e poi, secondo la ricostruzione degli investigatori, spinto con forza nel water per farlo sparire.
La Umeh, irregolare sul territorio italiano e senza fissa dimora, è stata rintracciata in una casa a Borgata Finocchio, nella periferia est di Roma, e ora si trova nel carcere di Rebibbia, in attesa del suo interrogatorio. La sua versione dei fatti, «Avevo mal di pancia, ero in bagno, ho sentito un tonfo, ma non ho visto nulla», non ha convinto gli inquirenti.
Le indagini sono scattate a seguito della segnalazione del policlinico Casilino, dove la 29enne era stata portata con chiari segni di un parto recente. Tuttavia, la donna, già madre di altri due figli affidati a una zia, ha negato ogni coinvolgimento con una spiegazione inverosimile: «Non sapevo neanche di essere incinta, non so chi ha reciso il cordone ombelicale».
Oltre a una narrazione giudicata quantomeno poco credibile, la Umeh è caduta in diverse contraddizioni riguardo a quanto accaduto e ai motivi della sua presenza in quella casa di Montecompatri. Inizialmente aveva detto di essere lì per far visita a un’amica, poi di non conoscere nessuno e, in un altro momento, di essere andata per proteggere i suoi figli. Ciò che è accertato è il suo arrivo la sera precedente al parto. Poi, il malore, la necessità di andare in bagno, il tonfo, il sangue, lo spavento e la richiesta di aiuto. «Non ho idea di dove sia il bambino, non l’ho neanche sentito piangere», ha dichiarato la donna, salvo poi fornire una versione differente: «Ho sentito un forte dolore sotto la gamba, ho tirato con la mano e mi è scappato». Nel suo racconto, sarebbero state le altre persone presenti nell’abitazione a tirare lo sciacquone, escludendo ogni sua responsabilità: «Non hanno nessuno da arrestare».
Le ricerche del neonato sono iniziate immediatamente. Gli inquirenti, con l’ausilio di una ditta di auto spurghi, hanno ispezionato le tubature, fino a quando il corpicino, di circa un chilo, è stato ritrovato in un tombino adiacente all’abitazione. L’esame del DNA ha confermato la maternità della 29enne.
L’autopsia sul corpo del piccolo ha rivelato una tragica verità: la morte è sopraggiunta a causa di un «arresto cardiocircolatorio con successiva morte asfittica o per annegamento nel wc con azione violenta compressiva effettuata al fine di far scivolare il feto in quel momento con segni di vitalità all’interno del water». Il bambino era vivo quando è stato gettato nelle condotte fognarie.
Il gip di Velletri, nell’ordinanza di custodia cautelare, descrive la madre come «reticente e non collaborativa» fin da subito. Nonostante fosse seguita dai servizi sociali, ai quali avrebbe potuto chiedere aiuto, «ha interrotto la gravidanza volontariamente, al solo fine di sopprimere il prodotto del concepimento, che ha anche tentato di far sparire nelle condutture di scarico del water». Da qui la richiesta di massima custodia cautelare, motivata dal «concreto pericolo di reiterazione di delitti della stessa specie» e dal «pericolo di fuga».