
Alemanno e il carcere: “Un’esperienza dura, ma piena di umanità e speranza”

Da oltre tre mesi rinchiuso a Rebibbia per una condanna definitiva a un anno e dieci mesi per traffico di influenze illecite, l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno ha scelto di raccontare la propria esperienza detentiva attraverso un diario pubblicato sui social dal suo staff. Lo fa nel rispetto delle regole carcerarie, ma con un tono diretto, personale, spesso toccante. Scrive per dare voce a chi vive una realtà dura, fatta di privazioni e regole non scritte, ma anche di umanità e speranza.
“Chi ha vissuto un periodo della sua vita dietro le sbarre è testimone di un’esperienza difficilmente comunicabile”, scrive Alemanno. “Nelle celle si vive una intensa esperienza comunitaria, si condivide tutto, si rispettano regole autogestite ma rigide”. Descrive spazi angusti, sei brande per cella, bagni nella stessa stanza dove si cucina, l’assenza di acqua calda. Eppure, non manca l’inventiva: ogni oggetto viene riutilizzato per migliorare la vita quotidiana, ogni detenuto contribuisce come può, spesso cucinando con fornelli da campeggio quanto riesce a recuperare.
Dal suo reparto, Alemanno osserva anche la vita dell’intero istituto: saluti obbligatori, cortesia tra compagni, reazioni collettive in caso di mancanze. Denuncia però le condizioni strutturali del carcere, definite “indegne di un Paese civile”, chiedendo che vengano applicati sconti di pena per chi vive in condizioni giudicate inumane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. “Ogni cella ha il suo cuoco, ogni piccolo gesto diventa un atto di sopravvivenza. Altro che cultura del riuso, qui si fa sul serio”, ironizza.
Sullo sfondo, non manca la critica politica: “Quando le istituzioni non valorizzano le potenzialità rieducative del carcere, falliscono nella loro funzione”. Alemanno rimarca il valore della speranza e del cambiamento, citando l’articolo 27 della Costituzione. “Chi non spera muore. E qui dentro, nonostante tutto, c’è tanta voglia di vivere e di migliorarsi”.
Alemanno non si nasconde dietro il ruolo politico. Osserva, partecipa, racconta. E se da una parte denuncia le carenze strutturali e la mancanza di coerenza nei percorsi di reinserimento, dall’altra restituisce un’immagine del carcere come luogo complesso, fatto non solo di sofferenza, ma anche di gesti solidali, di dignità, di tentativi di rinascita. “Anche dal profondo di queste celle continueremo a combattere”, scrive in uno dei suoi post. E la battaglia, in questo caso, non è politica, ma profondamente umana.