
Stalking e percosse, l’incubo di una studentessa romana

“Sei una poco di buono, crederanno a me perché io sono un uomo e tu sei una donna che va con uno già fidanzato“. Con queste frasi sessiste, Tina (nome di fantasia) veniva apostrofata dal suo ex, ora a processo davanti alla prima sezione del tribunale monocratico di Roma per stalking, maltrattamenti e minacce. La 28enne, all’epoca dei fatti studentessa fuori sede della Sapienza, giovedì scorso ha ripercorso tra le lacrime, davanti al giudice Luigi Giannantonio, l’incubo vissuto dal 2019 fino al luglio del 2020. “Avevamo una relazione clandestina, lui era il ragazzo di mia cugina“. E proprio per questo minacciava Tina di screditarla nel paese del sud Italia dal quale entrambi provenivano, dove tutti sapevano che lui era il fidanzato di sua cugina. La ragazza, assistita dall’avvocata Daniela Petrone, non si è costituita parte civile nel processo.
Le minacce erano costanti: “Ti devo dimostrare chi sono io“, diceva il 30enne, difeso dall’avvocato Eduardo Sorrentino. Voleva controllarla, “pretendendo di verificare il suo cellulare“, come si legge nel capo d’imputazione. Ma non solo, la sorvegliava ossessivamente, “attendendola sotto casa“, e cercava di annientarla psicologicamente, “inviandole numerosi messaggi, anche a contenuto molesto“, che giorno dopo giorno alimentavano la sua paura, insieme alle violenze fisiche e psicologiche. Bastava un rifiuto perché lui scattasse. Come accadde l’8 dicembre 2019: accecato dalla gelosia, le strappò il telefono dalle mani per controllare i suoi messaggi su WhatsApp. Quando trovò una chat con un amico, perse il controllo. “Mi ha dato uno schiaffo con forza e mi ha scaraventata con violenza contro la parete della stanza, minacciandomi che avrebbe sfondato la porta della camera per distruggerla“, ha denunciato la vittima, precisando che era arrivato anche al punto di sputarle addosso per manifestare il suo disprezzo. Subito dopo si mostrava pentito e lei si sentiva in colpa, come se fosse sua la responsabilità.
Uno degli episodi più brutali risale a una notte di febbraio del 2020. Dopo averla trascinata con la forza nella sua auto, l’aveva portata in aperta campagna e abbandonata lì, sola, senza telefono. “Adesso vedi come si sta senza di me“, le aveva sibilato prima di allontanarsi. “Ero presa dal panico più totale, non sapevo come cercare aiuto“, ha riferito nella denuncia presentata l’11 luglio 2020. Dopo un tempo che le era sembrato infinito, lui era tornato. “Mi diceva che, se non avessi fatto quello che voleva, mi avrebbe ripreso per i capelli“.
“Ho sempre vissuto in uno stato di paura per le continue minacce ricevute – ha spiegato Tina in aula – Mi associava a una sua relazione passata, in cui diceva di aver tentato il suicidio. Avevo paura non solo per me, ma anche per lui“. Il comportamento del 30enne ha costretto la vittima a interrompere la sua vita da studentessa e a rifugiarsi dalla sua famiglia. Per paura che lui si presentasse all’università o al tirocinio, preferiva frequentare le lezioni in smart working. La sua testimonianza, lucida e dolorosa, è un monito sulla violenza di genere e sulla necessità di non tacere.